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Omicidio all’Italiana

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Recensione di
Paola Casella

giovedì 23 febbraio 2017


Nel paesino abruzzese di Acitrullo, popolazione 16 anime ed età media 68 anni, non succede mai niente, finché la contessa Ugalda Martiro In Cazzati non si strozza con un dolcetto e al sindaco Piero Peluria non viene in mente di trasformare quella morte accidentale in un accoltellamento multiplo, di quelli che piacciono tanto alla trasmissione televisiva Chi l’acciso. L’imbroglio ha l’obiettivo di attirare verso Acitrullo quel turismo dell’orrore che ha rese celebri Cogne, Novi Ligure e Avetrana.
Ad aiutare Piero nella sua impresa c’è il fratello Marino: peccato che Piero e Marino siano scemo e più scemo.
Maccio Capatonda mette in scena il peggio dell’Italia di oggi: la tv del dolore, i giornalisti assetati di pulp, i curiosi beceri e ignoranti che si fanno i selfie nei siti dei delitti più efferati, la polizia assetata di popolarità mediatica, e chi più ne ha più ne metta. È una galleria di mostri di cui fanno parte anche Piero e Marino nonché gli altri abitanti di Acitrullo e chiunque altro compaia sulla scena, con l’eccezione della poliziotta Gianna Pertinente, l’unica a sentire puzza di bruciato e a voler scoprire qualcosa di più sulla morte della contessa.


La sceneggiatura (firmata a sei mani, fra cui quelle di Marcello Macchia e Luigi Luciano, in arte Maccio Capatonda ed Herbert Ballerina) è ottima, molto più attenta e stratificata di quelle delle banali commedie italiane contemporanee, e molto precisa nel dare una spiegazione (ancorché surreale) ad ogni svolta della trama.


Ottime anche le interpretazioni, soprattutto quelle di Macchia e di Sabrina Ferilli nei panni della conduttrice cinica e bara Donatella Spruzzone, che vede nel delitto di Acitrullo il potenziale per il proprio record di ascolti.

Quel che manca a Omicidio all’italiana è una buona regia di commedia. Infatti, nonostante il copione sia solo apparentemente demenziale, manca quel ritmo comico che è dato dal susseguirsi delle immagini, e che funziona in modo diverso per il grande schermo rispetto a quello piccolo (soprattutto quello del pc). Per questo davanti a Omicidio all’italianasi sorride molto ma non si ride quasi mai, nonostante il fuoco di fila di battute e i giochi di parole cui Capatonda ci ha da tempo abituati. Il buon regista di commedie è un animale raro, e Marcello Macchia, senza rivali nel mettere insieme scene assurde e personaggi esilaranti che attingono alla realtà nelle sue pieghe più oscure, non riesce (almeno per ora) a trasformare la sua abilità narrativa in cinema, e sembra anche dimenticare che la grande commedia all’italiana era sì molto scritta, ma lasciava anche ampio spazio all’improvvisazione degli attori, che in Omicidio all’italiana è invece trattenuta da una briglia troppo tesa. Se Macchia riuscirà a lasciare andare quella briglia, e se imparerà dai grandi registi del passato a gestire meglio i tempi della commedia cinematografica potrà mettere a frutto sia la sua (rara) capacità di scrittura che il suo indubbio talento di (prim’)attore.



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