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Cutro, Calabria, Italia

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Recensione di
Luigi Coluccio

martedì 30 luglio 2024

Quattro giorni di navigazione dall’Egeo allo Jonio, a riparare la testa dal sole meridiano per chi boccheggia in coperta e a coprire la bocca dai fumi del motore per chi soffoca sottocoperta. L’antica Smirne, l’antica Creta e l’antica Locri passano davanti ma nessuno vede nulla impegnato com’è a sopravvivere per poi poter vivere. Alla fine la costa è vicina, lo sentono, lo sanno, nonostante il buio di quell’ora, il vento di quella mattina, il mare di quel giorno. Quindi l’impatto con la secca, la barca che si rovescia e le persone che cadono in acqua. Sono le 4 del mattino del 26 febbraio 2023 quando il caicco “Summer Love” con a bordo quasi duecento persone si arena a 150 metri dalla riva, causando 94 morti, 20 dispersi e 81 sopravvissuti. A Cutro. Che è Calabria. In Italia.

Quelle spiagge erano il “navifragum Scylaceum” di Virgilio. Sono tornate ad esserlo.

Quanto tempo ci ha messo Mimmo Calopresti per tornare in Calabria? In realtà non se n’è mai andato da quella piana di Gioia Tauro – Polistena, dov’è nato – fatta di incroci in mezzo al nulla e strade che non si sa dove portano, nemmeno quando il padre trasferisce la famiglia nei viali sabaudi di Torino perché dalle forbici da sarto passa a manovrare i macchinari della Fiat. È un continuo stare su e andare giù, per forza e perché è andata così (Preferisco il rumore del mare, Uno per tutti), finché poi non s’è deciso e si è fermato nella Calabria del presente di L’abbuffata e quella del passato di Aspromonte – La terra degli ultimi – che poi sono la stessa cosa, no? Mancava la Calabria del futuro, ed eccola, funesta, in questo Cutro, Calabria, Italia.

Perché questa sarà la grottesca estate delle prossime decadi: bagnanti sullo Jonio che cercano sollievo dalla canicola, migranti sull’Egeo che bramano rifugio dal riscaldamento globale (e dalla guerra, dalla povertà, dalle persecuzioni religiose…), e i due mari pieni di corpi e relitti. Già, lo Jonio e l’Egeo, l’uno gemino dell’altro, l’uno germano dell’altro, di nuovo sulle mappe dell’esodo globale, perché come ricorda il sindaco Vittorio Zito, “c’è un detto secondo cui se da Izmir vai sempre dritto arrivi a Roccella Jonica”. Dalla Turchia alla Calabria con barche a vela e caicchi, lungo una rotta meno pattugliata e trafficata, quindi più sicura e costosa. Finché non incontri una secca e affoghi a centro metri dalla riva.




Come fai a raccontare quello che molti hanno definito “strage di Stato”? Calopresti lo sa, ha negli occhi i sudari bianchi sulla spiaggia, la carovana istituzionale nel buio della notte, i familiari che si strappano l’anima in tutte le lingue del mondo. Sa del feretro KR16M0, cioè “Crotone, ritrovamento numero sedici, maschio, meno di un anno” e sa che dopo un anno a questa sigla è stato dato un nome, Mohamed Sina Hosseini. Quindi fa l’unica cosa possibile, lui che è un calabrese errante, un sommozzatore d’archivio, prende e va’, chiede, sbaglia, richiede, incontra per poco o per tanto, ricorda e fa ricordare, capisce la colpa che investe tutti e alla fine si sente in colpa pure lui.

Cutro, Calabria, Italia è un racconto sghembo, fatto in modo contro-intuitivo, senza un procedimento lineare ma saltando di qua e di là, anzi, sentendo di qua e di là. Calopresti, che si mette in scena, che entra ed esce ma accompagna tutto, utilizza un’estetica lo-fi, fatta di materiali e supporti diversi, con una grana quasi analogica, ed è costretto a farlo dopo la parata delle immagini venute prima, è costretto a farlo se vuole davvero capire cosa prova chi è sopravvissuto, chi ha perso qualcuno, chi ha soccorso, chi ha aiutato.

Calopresti non ci casca, non fa il film necessario, urgente – era tutto già necessario e urgente. Però fa un’operazione di restituzione, di piccoli ricordi, momenti, esistenze che sono entrati nella narrazione più grande solo per la iattura di questa storia. Tante parabole di vita e di morte che si ricongiungono nell’unica parabola possibile, quella del pasoliniano Il Vangelo secondo Matteo, girato sessanta anni fa proprio su quei calanchi cutresi, l’unico momento davvero estetizzante che il regista di quelle terre si concede, con l’incidere della voce di Francesco Colella sui versi di Profezia con “subito i calabresi diranno/come malandrini a malandrini:/”Ecco i vecchi fratelli,/coi figli e il pane e formaggio!”. Perché siamo a Cutro, che è Calabria, in Italia.


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