Il social network che usiamo di più è di origine cinese, l’italiana Candy è controllata da un gruppo cinese, le americane Hoover e General Electric Appliances sono controllate da un gruppo cinese. Ancora: Motorola è in mano ai cinesi, AMC è in mano ai cinesi, Volvo è in mano ai cinesi ed è cinese l’unica azienda in grado di rivaleggiare con Tesla sul mercato delle auto elettriche, così come è cinese l’unica azienda in grado di dare fastidio ad Amazon nel campo dell’e-commerce. Black Myth: Wukong, uno fra i videogiochi di cui più si parla in queste settimane, è basato sulla mitologia cinese, così come è cinese il romanzo di fantascienza di maggior successo degli ultimi anni, da cui Netflix ha anche tratto un’ottima serie tv. I principali sponsor degli ultimi Europei di calcio erano tutti cinesi (ne abbiamo scritto qui), con HiSense che ha fornito gli schermi per il VAR e BYD che si è occupata delle “soluzioni di mobilità”. Forniva le auto per gli spostamenti in Germania, la patria delle auto.
Insomma, e nonostante le roboanti dichiarazioni di alcuni esponenti politici italiani sul “non facciamo favori alla Cina” e “così rischiamo di favorire la Cina”, parlando magari di monopattini o auto elettriche, la sensazione è che quella con la Cina sia una guerra ormai persa, e che accorgersi adesso che sarebbe meglio non farle favori è un po’ tardi. Soprattutto (ma non solo) nel campo della tecnologia: all’ultima IFA di Berlino, la presenza di espositori, manager, dirigenti, addetti stampa e anche semplici visitatori di origine orientale, soprattutto cinesi ma anche sudcoreani e giapponesi, era oggettivamente impressionante. Così come le dimensioni degli stand di Haier, HiSense, TCL, Honor, LG o Samsung. Negli ultimi anni, al Mobile World Congress di Barcellona accade più o meno lo stesso: nelle due più grandi e importanti manifestazioni europee dedicate all’elettronica di consumo è praticamente impossibile trovare un’azienda che non sia controllata o sostenuta economicamente da un colosso di origine asiatica. Allo stesso modo, e come su Italian Tech abbiamo scritto spesso, la produzione dei microchip, fondamentali per fare funzionare tutto (smartphone, computer, auto, frigoriferi), è ormai da decenni in mano all’Oriente.
È anche colpa nostra
Senza piangere sul proverbiale latte versato, siamo nella situazione in cui siamo per un insieme di ragioni. Snobismo, innanzi tutto: gli occidentali, e in special modo gli europei, si sono sempre ritenuti e tuttora si ritengono superiori a tutti perché (è la teoria) siamo il primo mondo, la culla della cultura e pure della rivoluzione industriale e dunque non dobbiamo preoccuparci degli altri. Che invece si preoccupavano eccome di noi: mentre noi li ignoravamo, i cinesi, i coreani e i giapponesi che potevano permetterselo (e pure gli arabi) mandavano i loro figli a studiare nelle nostre scuole e nelle nostre università, a imparare sia noi sia le nostre abitudini, i nostri usi e costumi, le nostre capacità. In secondo luogo, tanta ingenuità: li abbiamo sottovalutati quando abbiamo insegnato loro come fare le cose, come produrre, come coltivare i pomodori, come ottenere un design che non sia solo funzionale ma pure bello da vedere, che si tratti di automobili, televisori, architettura, piani cottura o telefonini. Allo stesso modo, la scelta di andare a produrre in Cina o di cedere alcuni brevetti ad aziende cinesi non si può certo definire lungimirante perché (di nuovo) ha permesso ai cinesi, che diversamente da noi osservano quello che hanno intorno, di apprendere. E poi di replicare in patria quello che avevano imparato.
C’è poi una parte totalmente fuori dal nostro controllo che ha a che fare con l’impostazione culturale delle popolazioni orientali, decisamente più pratiche e meno condizionate dalla religione (lo si vede anche nell’approccio all’intelligenza artificiale) e, solo nel caso della Cina, con un ordinamento politico in cui è più facile prendere decisioni, fare le cose o farle fare. Per usare un eufemismo.
Midea, il gigante che non abbiamo visto arrivare
Al momento non è facile capire come le attuali tensioni internazionali potranno influire su queste dinamiche, se e per quanto tutto questo continuerà e se questa corsa potrà proseguire alla velocità cui sta andando ora: dalla Cina arrivano risultati economici discordanti, fra PIL in crescita e bilancia commerciale in forte calo, tanto che alcune agenzie di rating ne hanno abbassato la valutazione. Quel che è certo è che i colossi cinesi in grado di muovere miliardi non sono finiti: oltre alle varie Alibaba, BYD, Haier, HiSense, Huawei, Lenovo, TCL e XIaomi, ce n’è un altro di cui in Europa (e soprattutto in Italia) si parla ancora poco ma che potrebbe essere la next-big-thing in arrivo da Pechino.
Stiamo parlando di Midea, che a IFA aveva uno stand grande come quelli di Honor e Google messi insieme e poco più piccolo di quello di LG: fondata nel 1968 a Beijiao, quotata in Borsa a Shenzhen, dichiara un fatturato annuo di oltre 51 miliardi di dollari e di avere oltre 30 stabilimenti in 16 Paesi del mondo che danno lavoro a quasi 170mila persone. Produce un po’ di tutto a prezzi accessibili un po’ a tutti, caratteristica che accomuna molte di queste aziende giganti, concentrandosi su elettrodomestici grandi e piccoli, impianti di climatizzazione, aspirapolvere. In Italia è nota soprattutto per essere fra i fornitori di Mondo Convenienza (ma alcuni prodotti si trovano anche nei negozi di elettronica): senza saperlo, magari avete in casa un forno di Midea. O un frigo, una lavatrice o anche i fornelli.
A Berlino una voce che girava insistentemente è che Midea sarebbe pronta a fare il grande passo e comprarsi un’azienda europea che le permetta di meglio posizionarsi e accreditarsi nel settore. Non è difficile immaginare quale, sia perché ne sono rimaste poche sia perché è un’operazione che quelli di Midea avevano già tentato l’anno scorso, offrendo poco meno di 4 miliardi di dollari per rilevare la svedese Electrolux (che non se la passa benissimo) e i marchi a essa collegati. Non c’è ovviamente alcuna conferma sul fatto che questa cosa accadrà davvero, probabilmente a inizio 2025 con l’insediamento del nuovo CEO di Electrolux, ma se sarà così non è che non li abbiamo visti arrivare. È che abbiamo scelto di non guardare.