Milano non è (più) solo Quadrilatero e centro per i negozi dell’arredo. Lo sguardo si allunga verso nuovi quartieri e camminamenti. Alla vigilia dell’avvio del Salone del Mobile di Milano, dove si dirigono gli investimenti retail? Come e dove si stanno riposizionando i brand del design e della moda che, in fondo, gli stessi spazi condividono nelle vie strategiche dello shopping? Lo abbiamo chiesto a Sabrina Longhi, a capo del Dipartimento High Street Retail di Italy Sotheby‘s International Realty.
“Solo lo scorso anno, alcuni brand del settore dell’arredamento stavano prendendo piede all’interno del Quadrilatero, soprattutto in via Manzoni, sfruttando le location disponibili in affitto. È importante sottolineare che, per chi opera nel settore dell’arredamento, ottenere uno spazio significa ottenere una vetrina espositiva. Chi vende mobili principalmente espone i propri prodotti e accetta ordini, vivendo una logica di negozio completamente diversa rispetto alla moda, dove l’apertura di uno spazio si traduce immediatamente in fatturato. Nel settore dell’arredamento, anche se ci sono fatturati in grado di coprire i costi degli affitti nel centro città, il negozio resta un investimento puro. Prima della pandemia, le richieste di buonuscita rendevano tale investimento troppo oneroso rispetto alla resa di una semplice vetrina pubblicitaria. Oggi, all’interno del triangolo Quadrilatero – Spiga – Manzoni, le opportunità di spazio libero stanno diventando sempre più scarse. Negli ultimi anni, molti brand hanno occupato spazi in via Manzoni. Più recentemente, ad esempio, Davide Groppi e Inda, un marchio del settore bagno, tra gli ‘insospettabili’ per questa posizione. Tuttavia, molti hanno realizzato che essere presenti nel Quadrilatero può davvero trasformare l’immagine aziendale e aumentare i fatturati. A questo punto, per potersi stabilire nel Quadrilatero, è necessario pagare una buonuscita. Non posso dire quanto l’industria dell’arredamento sia disposta a farlo, poiché persiste l’idea che uno showroom sia sufficiente e, di conseguenza, nonostante ci sia un forte interesse a essere presenti, l’aspetto economico resta predominante. Ma è interessante notare che si sta verificando qualcosa di simile a quanto accaduto nel settore della moda”.
Che cosa esattamente?
“Quest’anno, ad esempio, ho introdotto il marchio brasiliano Ornare, il leader in Brasile nell’arredamento, che ha deciso di aprire a Milano in via Manzoni. Chiunque venga dall’estero, ovviamente, preferisce il quadrilatero, prima ancora di via Durini. In questo senso si sta ripetendo quanto accaduto con gli stilisti: inizialmente gli italiani hanno aperto in Monte Napoleone e in via della Spiga, poi sono arrivati gli stranieri. L’auspicio è che l’ingresso dei marchi stranieri porti, oltre a un fatturato elevato, anche capacità produttive di alto livello, contribuendo così a creare un mercato più competitivo. Questa è la speranza e, in questo senso, dovrebbe rispecchiare quanto avvenuto nel settore della moda”.
Ma gli spazi del centro sono sempre più difficili da occupare
“Si assiste all’ampliamento delle zone, della prospettiva. Diversi brand stanno conducendo studi di presidio del territorio mirati a un determinato tipo di target residenziale. Inoltre, ci sono vie che nel tempo rimangono associate al settore dell’arredamento. Quindi, si è giunti a una sorta di specializzazione in cui chi si posiziona nel quadrilatero è un certo tipo di marchio dedicato a una clientela di lusso. Chi si colloca in via Durini è strettamente legato al design, mantenendo un focus su questo settore. Poi c’è chi opta per via Larga, ad esempio Cattelan quest’anno, consapevole della visibilità offerta da una via ad alto traffico automobilistico. In sostanza, l’idea fondamentale è quella di essere a Milano, anche in zone che, per così dire, si sono formate spontaneamente”.
Quale momento stanno vivendo moda e design in questa prospettiva?
“Il contesto è effettivamente paragonabile a ciò che l’industria della moda ha vissuto in precedenza, ovvero un allargamento delle vie, con i grandi marchi che si contendono i negozi anche attraverso sforzi significativi nelle vie centrali e l’ingresso di marchi stranieri. Questi sono gli elementi fondamentali che abbiamo osservato quest’anno e che richiamano la mia esperienza nel settore della moda. Attualmente, il settore sta attraversando un momento di difficoltà, soprattutto in termini di dinamicità. Prima, la moda era il motore trainante, ma oggi ci sono ancora movimenti di marchi di fascia media che cercano di posizionarsi, oltre alle grandi firme che sono già stabilite. Si percepisce una sorta di stagnazione in questo mondo, dovuta al fatto che i marchi importanti sono già ben posizionati e che i negozi sono già presenti sul mercato. La dinamicità di questo settore è stata principalmente vissuta attraverso la ristrutturazione degli spazi, con numerosi Temporary dei grandi marchi, rispetto ai quali tutti si chiedono se diventeranno destinazioni permanenti. I movimenti sono presenti, ma sappiamo che l’intenzione è quella di ritornare alle posizioni consolidate. Attualmente, il settore dell’arredamento sta dimostrando maggiore entusiasmo nell’acquisizione dei negozi. Tuttavia, il dato più significativo rimane l’interesse degli investitori stranieri che arrivano con capitali consistenti e che rappresentano sicuramente i migliori clienti per noi, poiché desiderano presidiare il territorio e essere presenti a Milano”.
Potrebbero i marchi stranieri, con la loro capacità economica, mettere in discussione la posizione dei marchi storici e potremmo assistere a una ricerca di nuove aree o a una migrazione verso nuove location?
“Nella mia mente c’è sempre stata l’idea di creare una sorta di quartiere Soho, che comprenda sia il design sia la moda e che abbia il profumo della tendenza. Sto lavorando su questo progetto e devo ancora definire i dettagli, ma sta emergendo naturalmente una direzione in cui ci sono brand rivolti ai giovani, con un profilo molto alto. Direi che si tratta di tutto tranne che di una ‘via Torino’, per intenderci. Piuttosto di un mix tra design e moda, caratterizzato da innovazione, grandi tendenze e prodotti ancora da scoprire. Credo che la città sia pronta, a livello internazionale, sia per gli eventi imminenti come le Olimpiadi, ma anche per le riqualificazioni urbane in corso. Alcuni marchi hanno mostrato interesse anche per la zona di Loreto, un tempo trascurata, ma oggettivamente connessa al centro. Siamo pronti per questa espansione, cosa che prima non sarebbe stata neanche immaginabile. In passato, tutto ruotava intorno al centro. Oggi i brand più importanti sono ovunque ed è sensato ampliare l’area di interesse e creare percorsi che offrano un’esperienza diversa dal solito. Attualmente abbiamo già due poli: una volta i marchi erano solo in Montenapoleone, oggi sono presenti sia lì sia in Galleria, dove si concentra il lusso. Quando ho notato questa duplicazione, ho subito pensato a Parigi, che offre più punti dove trovare grandi marchi. Anche se non abbiamo la stessa estensione, siamo certamente pronti per un’espansione dei percorsi, ad una estensione delle camminate”.
In termini di prezzi e redditività?
“Riceviamo oggi dalle 4 alle 5 chiamate giornaliere da investitori italiani ed esteri, tra fondi e privati, interessati a spazi nel Quadrilatero, proprio per la sicurezza che questo mercato rappresenta, anche se tutti sono preoccupati per la redditività. Normalmente, un investitore si aspetta un rendimento del 6% dall’acquisto di un immobile, ma nel quadrilatero si arriva al massimo al 4%. Ma resta il fatto che acquistare negozi in quelle vie di Milano è così raro che rimane un investimento estremamente sicuro. Quest’anno abbiamo lavorato davvero in ogni angolo della città, senza esitazioni, soprattutto con una prospettiva diversa. Sarà solo tra un anno che riusciremo a capire quali strategie avranno successo. E, va detto, non si allontaneranno molto dal centro, poiché Milano è strutturata su cerchi e le distanze si accorciano. Per quanto riguarda i prezzi degli affitti, anche in vista delle imminenti Olimpiadi, erano alti e sono rimasti tali, senza alcuna diminuzione durante la pandemia. Durante quella fase, si concedevano affitti gratuiti per sei mesi, poi si passava a un regime fiscale graduale. La prassi del contratto a scaletta è diventata comune, consentendo alle aziende di pianificare l’avvio dell’attività e l’ingresso nel negozio con maggiore cautela rispetto a un regime fiscale standard. Molte acquisizioni, soprattutto di edifici interi anziché singoli negozi, sono state effettuate da fondi immobiliari con l’obiettivo di ottenere un reddito costante. Possedere immobili in queste zone implica un certo valore, calcolato in base al contratto a regime. Per quanto riguarda i prezzi di vendita degli immobili, si registrano valori molto peculiari. Si può arrivare anche a 60 mila euro al metro quadro per una superficie non particolarmente grande. Di conseguenza, poiché la domanda di mercato guida l’offerta e l’offerta è praticamente nulla, la conseguenza è evidente. Per quanto riguarda i canoni di locazione, siamo nell’ordine di un aumento del 10% annuo al metro quadro”.