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La rotta della Space Economy | MilanoFinanza News

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Ultim’ora news 24 novembre ore 11


Era il maggio del 1964 quando venne messo in orbita il San Marco 1, il primo satellite italiano, il terzo a livello mondiale, con la collaborazione, tra gli altri, del fisico Edoardo Amaldi, uno dei ragazzi di via Panisperna. Oggi l’industria spaziale italiana è un’eccellenza riconosciuta nel mondo, con un tessuto di piccole, medie e grandi imprese capaci di fare sistema ed esprimere innovazione e creatività come nel migliore Made in Italy. Massimo Comparini è managing director della nuova Space Business Unit di Leonardo. Un ruolo che ne fa una sorta di regista a tutto campo del comparto spaziale italiano, una delle poche filiere al mondo a poter esprimere tutte le specialità legate alle attività oltre l’atmosfera.

Comparini, qual è il segreto della leadership italiana nel settore aerospaziale?

«Come tutte le pianificazioni è una leadership che viene da lontano, dal lavoro dell’Agenzia Spaziale Italiana ed Europea, dalla Space Alliance tra grandi gruppi industriali come Leonardo e Thales, dalla capacità di generare competenze, investimenti, di mettere a sistema grandi e piccole aziende e di collaborare con una folta schiera di Pmi, così come dall’istituzione del Comitato interministeriale per le politiche spaziali presso la Presidenza del Consiglio. Solo un dato: consideri che oggi i moduli pressurizzati dove vivono gli astronauti per l’80% sono italiani».

Massimo Comparini, managing director della Space Unit di Leonardo

L’Italia è protagonista anche nel Programma Artemis. Quanto è importante oggi l’economia lunare?

«L’Italia da oltre 20 anni opera nell’orbita bassa terrestre e fa ricerca in assenza di gravità. Abbiamo acquisito una conoscenza incredibile di cosa possiamo fare. Nello spazio i cristalli crescono in modo più regolare e perfetto, è possibile sintetizzare materiali più facilmente. Sulla Luna ci apprestiamo a tornare per imparare a rimanerci con continuità. Da qui al 2035 sono previste una ottantina di missioni. Nascerà una vera e propria produzione made in space. Ed è motivo di orgoglio il fatto che i primi tre moduli della stazione Axiom siano in fase di costruzione a Torino, così come è avanzato lo studio del primo modulo lunare».

Qual è l’obiettivo della nuova Space Business Unit di Leonardo?

«Promuovere una visione spaziale complessiva, creando e stimolando sinergie tra le diverse aziende del gruppo, lungo tutta la catena del valore dell’industria aerospaziale, quindi Thales Alenia Space Italia, Telespazio e le componenti di Leonardo che si occupano di tecnologie spaziali e digitali. Vogliamo lavorare su una visione dinamica e collaborare con pmi e startup innovative da coinvolgere in questo processo». (QUI sette idee di imprese spaziali in rampa di lancio)

Che cosa risponde a chi pensa che l’investimento nello spazio distolga risorse economiche alla Terra?

«Nulla di più sbagliato. Ci sono enormi implicazioni in termini di ricerca applicata. La sostenibilità del nostro pianeta passa dallo spazio. Immaginiamo solo le colture idroponiche per aiutare l’agricoltura colpita dal cambiamento climatico o la cura dell’osteoporosi».

In un’industria complessa come quella aerospaziale è davvero possibile la collaborazione con le startup?

«Il tema è ampio e va trattato con serietà. Conosco bene il mondo dell’innovazione Western Coast, non ho mai creduto che si possano riportare i modelli così come sono. La creazione di valore passa da un modello che preveda una crescita anche graduale, ma vera. Negli ultimi anni il meccanismo delle startup sta iniziando a funzionare anche da noi. È responsabilità della grande impresa metterle in rete, creare un processo di road map tecnologica strutturato che consenta di intercettare innovazione, portandola a un livello superiore».

Esiste una ricetta per creare davvero sinergie efficienti?

«Serve un colloquio costante con questo mondo. Sono stato direttore tecnico nel settore aerospaziale per tanti anni, ci vuole un collegamento diretto con il mondo dove le startup nascono, con l’università e non solo. Bisogna inserirle in progetti di ricerca, creando una interconnessione con le imprese. Quando poi la tecnologia raggiunge un livello di maturazione sufficiente, si passa a un livello di collaborazione strutturata e anche a una possibile partecipazione della grande impresa nella compagine azionaria. Certo è più difficile se parli di manifattura e non di digitale. Non si può pensare che dopo 5 anni si trovi l’unicorno, è un discorso più lungo e complesso».

Se questo è il modello teorico, voi come avete agito in concreto?

«In Thales Alenia Space, per esempio, abbiamo creato uno Space Business Catalyst, un contenitore dove il processo di analisi delle startup ha una struttura vera e propria, con la possibilità di investire in quelle più promettenti».

Il mondo finanziario è sensibile all’investimento nelle startup?

«La sensibilità sta crescendo anche nel mondo finanziario, con strumenti a supporto creati dalla Bei, ma ci sono anche varie banche e istituti che hanno costituito dei fondi per startup e medie imprese. Noi abbiamo avuto una interlocuzione importante con il mondo finanziario. In particolare con Banca Intesa c’è un confronto su come indirizzare gli obiettivi di un fondo che stanno costituendo. C’è un punto che è strategicamente fondamentale: più che il tasso di generazione, quello che deve interessarci è il tasso di sostenibilità delle startup dopo qualche anno. Dobbiamo capire quanto sono cresciute e quante di loro hanno maturato i loro piani di sviluppo tecnologico».

Il progetto della Space Factory italiana può essere strategico in questo senso?

«Sì, è un punto di orgoglio per l’Italia che stiamo sviluppando anche attraverso i fondi del Pnrr. Il concetto alla base della Space Factory è quello di costruire un centro di integrazione che sia al passo con l’evoluzione della Space Economy. Ma la Space Factory è anche una fabbrica diffusa e federata, in grado di connettersi con le pmi e fare da cinghia di trasmissione per scambiarsi modelli digitali che verranno successivamente integrati in una struttura che sarà tra le più sofisticate al mondo nel campo della produzione di assetti spaziali». © riproduzione riservata

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