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Benedetto Vigna: “Ferrari, la fabbrica fatta di uomini”

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Laurea in Fisica subnucleare all’Università di Pisa, lavoro presso centri di ricerca europei ed americani, esperienza in STMicroelectronics, tanti brevetti su progettazione, tecnologie e applicazioni commerciali dei sensori a semiconduttori, la firma sull’accelerometro a tre assi della Wii della Nintendo e sul giroscopio a tre assi dell’iPhone di Apple, ma soprattutto la creazione di un business da svariati miliardi di dollari e tanti posti di lavoro in tutto il mondo, a partire da zero e assieme ad una squadra numericamente piccola, ma fortemente unita ed estremamente motivata a creare un mercato nuovo e a prenderne la leadership: questo e molto altro è Benedetto Vigna, amministratore delegato Ferrari, originario di un piccolo comune della Basilicata (Pietrapertosa, 965 abitanti), un manager che dà del tu all’innovazione. Una “figura tecnologica”, insomma, per dirla con le parole del Wall Street Journal. Di certo un manager atipico per l’auto.

Sappiamo che la frase di Enzo Ferrari che le piace di più è questa: “A chi verrà dopo di me, io affiderò un’eredità molto semplice. Mantenere viva quella volontà di progresso perseguita in passato”. Perché le piace tanto?

Perché l’innovazione, portata avanti nel totale rispetto della tradizione, è il cuore della Ferrari, la sua grande forza, l’anima stessa del marchio.

La citazione però finiva con parole terribili: “… anche con il sacrificio di nobilissime vite umane” perché all’epoca nelle corse si moriva.

Oggi non arriviamo a tanto, i tempi sono cambiati, ma quella frase fa capire bene la tensione verso i cambiamenti che c’è sempre stata nella Ferrari. E non solo direi. In un mondo come quello odierno, sempre più incerto e mutevole, dove serve sempre più esercitare lo spirito critico, non dobbiamo fare l’errore di delegare questa importante prerogativa ai computer oppure ai social network. Dobbiamo preservare, a tutti i costi, la nostra libertà di scelta e continuare ad alimentare la nostra creatività. E, a proposito di citazioni, ci tengo sempre a non perdere di vista il pragmatismo di Seneca perché le belle parole devono essere sempre messe in pratica. È l’unico modo per farle proprie, è l’unico modo per essere credibile e coerente.

E per farle proprie, fra le difficoltà di oggi, per una marca con una storia così gloriosa alle spalle, c’è anche una tensione a non toccare il mito?

Certo ma non chiudiamo la porta all’innovazione. Lo scorso anno abbiamo depositato 181 brevetti…

Più di uno ogni due giorni. Ci dica cosa c’è lì dentro.

All’inizio le nostre auto erano “espressioni di bella meccanica’’, come diceva Enzo. Oggi, invece, ci offrono tante possibili direzioni di innovazione. I nostri brevetti riguardano i motori elettrici, quelli endotermici e ibridi, disposizione dei sedili nell’abitacolo, sistemi di gestione della potenza, soluzioni innovative di Human interface, metamateriali e soluzioni aerodinamiche. Tutte cose che vedrete fra non molto sulle auto di serie.

Perché i brevetti sono così importanti?

Me l’ha insegnato il mio primo capo, nel 1996. Brevettare le idee offre due grossi vantaggi. Il primo: protegge la proprietà intellettuale dell’azienda e il secondo è che regala un boost motivazionale alle persone perché fa vedere che le proprie idee sono importanti. Ricordo come fosse ieri il mio primo brevetto su un accelerometro per airbag che usava il tungsteno…. Ma soprattutto ricordo il boost motivazionale che mi diede.

A proposito di elementi motivazionali. Che abilità vorrebbe sempre avere nei suoi collaboratori?

Forte senso dell’etica e dell’estetica del lavoro, voglia di ridefinire audacemente i limiti del possibile e usare quella che io chiamo la “bussola dell’innovazione”. Essere in grado di gestire quattro dicotomie: focus e curiosità, pazienza e spinta all’innovazione, coraggio e responsabilità, ambizione e umiltà. E quest’ultima è molto importante perché ci aiuta a sviluppare un pensiero critico, ci spinge a leggere libri, a trascorrere tempo di alta qualità con altre persone nello spazio fisico per sviluppare l’intelligenza emotiva, che è sempre più importante oggi, in tutti i settori della vita.

Cosa risponde ai nostalgici del cavallino rampante sul fatto che tutta questa innovazione rischia di stravolgere il mito?

È il punto chiave dell’innovazione. Fra i tanti brevetti che abbiamo depositato, applicheremo soprattutto quelli che sono in linea con la storia delle nostre auto: per una Ferrari le emozioni sono centrali.

Ci siamo. Come deve essere allora una Ferrari?

Il più possibile leggera e tutt’uno con la con la persona. Le Rosse sono così e continueranno a essere così. Oggi le facciamo nel DNA Ferrari.

Sa dove voglio arrivare, la domanda è scontata e nemmeno gliela faccio…

Sarà così (ride ndr) anche la Ferrari elettrica.

I suoi piani di lancio sono confermati?

Sì, la sveleremo nel quarto trimestre 2025 e poi andrà sul mercato l’anno successivo.

Lei ovviamente l’ha già guidata. Ci dica qualcosa…

Io e altri colleghi ovviamente la proviamo settimanalmente, la messa a punto è un bel lavoro. È una macchina unica, il team sta facendo un ottimo lavoro.

Pochi mesi fa a Bologna per l’EFMD Global, associazione internazionale dedicata allo sviluppo dei programmi di management ha tenuto una lezione dal titolo emblematico: “Il futuro della Ferrari, la mia prospettiva”. Ce la riassume?

Tutto ruota attorno al concetto del “try, learn, adapt nimbly”, si riferisce a un approccio agile e flessibile per affrontare le sfide e i cambiamenti. Per Try intendo sperimentare, provare nuove idee o approcci senza timore di fallire. È importante essere disposti a uscire dalla propria zona di comfort e tentare nuove strade: qui il fallimento viene visto come un’opportunità di apprendimento, non come una minaccia. Per Learn il concetto è legato al fatto che dopo aver provato qualcosa di nuovo, è fondamentale analizzare i risultati e trarne insegnamenti. Bisogna essere attenti nell’osservare cosa ha funzionato e cosa no, per capirne le ragioni. L’apprendimento continuo è essenziale per migliorare e crescere. Infine, per Adapt nimbly intendo dire che una volta acquisiti nuovi apprendimenti, è necessario essere pronti ad adattarsi rapidamente ai cambiamenti. Essere “nimbly” significa essere agili, flessibili e capaci di modificare rapidamente i propri piani o il proprio approccio. Questa agilità permette di cogliere nuove opportunità e affrontare le sfide in modo proattivo. Ma in fondo tutto ciò non è molto differente da ciò che ha sempre fatto Enzo sin dalla prima gara dell’11 maggio 1947 sul circuito di Piacenza. La nostra dodici cilindri 125s era in testa, ma all’ultimo giro ha avuto un problema di affidabilità e ha perso. Ma in sole due settimane Enzo e i suoi hanno capito cosa non funzionasse e hanno vinto così sul circuito di Roma. All’epoca non si parlava di “try learn adapt nimbly”, ma Enzo ne conosceva bene l’essenza… Trovo curioso che sempre di più si faccia riferimento e affidamento all’Intelligenza Artificiale nel tentativo di sapere tutto e controllare tutto. Credo che la realtà sia troppo complessa e mutevole per essere perfettamente conosciuta e controllata e che la capacità di accettare e reagire all’imprevedibile sia più importante della pretesa di controllare l’incontrollabile. Il più agile a imparare ha sempre vinto e continuerà sempre a vincere.

Quindi gli errori sono ammessi?

Bisogna fare attenzione e distinguere gli errori di negligenza da quelli di esplorazione. I primi non sono ammessi, i secondi sono quelli per cui si applica il metodo Try Learn Adap Nimbly.

Chiuse la lezione con una frase particolare…

“Sappiamo di non sapere, possiamo sempre imparare da tutti e ovunque”.

Da Socrate a Enzo Ferrari, mi prendo il rischio di sembrare blasfemo: il Drake diceva “le fabbriche sono fatte di uomini, macchine e muri. La Ferrari è fatta soprattutto di uomini’. È un’altra citazione che le piace, credo: nella lunga intervista che lei ha rilasciato al Wall Street Journal ripete spesso il concetto che la Ferrari è fatta soprattutto di persone. Ce lo spiega?

Lo dicono in tanti, è un mantra molto usato. Durante la mia carriera mi sono relazionato con aziende differenti per mercato, cultura e nazione e ho visto che, se è vero che in tutte le aziende lavorano persone, in realtà purtroppo sono molto poche le aziende che sono fatte veramente di persone. Così appena arrivato a Maranello ho iniziato a parlare con tutti i dipendenti (oltre 300 colloqui in meno di 100 giorni, un record). E ho scoperto una cosa che non mi piacque: c’erano persone che lavoravano da anni alla Ferrari ma che non erano mai salite su una Ferrari.

Non le sembra insolito? La Ferrari costruisce splendidi sogni su quattro ruote, ma poi questi sogni sono inarrivabili a coloro che hanno lavorato per realizzarli.

Per ovviare questa – diciamo così – singolarità abbiamo invitato tutti i dipendenti in pista per provare di persona le nostre auto. Bene, nei primi giorni mi avvicina una collega sull’orlo delle lacrime. Aveva montato i cruscotti delle Ferrari per decenni, ma solo dopo aver visto il suo lavoro in azione aveva capito cosa facesse davvero. Per me è stata un bella soddisfazione, ero riuscito nell’intento.

È davvero così importante far sentire le persone che lavorano in Ferrari parte del mito?

Certamente. Immaginate una cipolla. Al centro ci sono le persone. Lo strato immediatamente più esterno è il prodotto, l’obiettivo che il team deve raggiungere, e quindi il modo in cui si raggiunge quell’obiettivo. È solo attraverso la motivazione delle persone che si raggiunge un obiettivo. E questo è vero nel business come nello sport… E quindi ecco perché bisogna sempre iniziare dalle persone. I migliori consulenti di un team sono i membri del team stesso, basta fare le domande giuste e voler ascoltare. Per questo quando sono arrivato ho parlato con tanti colleghi che durante la loro carriera non avevamo mai avuto modo di parlare con il Ceo. A Maranello c’erano nove livelli di dipendenti. Una gerarchia enorme, soprattutto per uno che arrivava dalla Silicon Valley e che era abituato alla struttura più piatta delle startup o del mondo della tecnologia.

E cosa ha fatto in pratica?

Sono partito dai collaudatori, ossia le persone che trascorrono più tempo sulle Ferrari: sono i nostri primi clienti, i loro feedback sono fondamentali Da loro ho iniziato a cercare di diffondere la cultura di come deve essere fatta una Rossa, ossia divertente. Per questo ho spostato i collaudatori da sei livelli sotto l’amministratore delegato a tre, con l’obiettivo di accelerare il flusso di informazioni. Quando i collaudatori possono dire ai capi quello che pensano, c’è un chiaro miglioramento dell’esperienza che si può offrire al cliente.

Rivoluzione? O evoluzione?

Quando si cambia la cultura di un’azienda, non è mai una rivoluzione. È sempre un’evoluzione, senza dubbio. Mi fa ridere quando sento alcuni manager che sparano a zero su quanto fatto dai loro predecessori. Se oggi noi siamo qui, è grazie al lavoro di tanti colleghi oggi presenti in Ferrari, ma anche a quanti con impegno e passione ci hanno preceduto. Ed io ringrazio tutti. Grazie.

La Ferrari è una marca strana. Meravigliosa ma complicata. Sconfina nel mondo del lusso e produce col contagocce: in un anno la Porsche produce le stesse auto che la Ferrari ha fatto in quasi 80 anni.

Sì, ma direi di più: la Ferrari non è un’azienda automobilistica. È un’azienda di lusso in cui, contrariamente ad altre aziende di lusso, la tecnologia gioca un ruolo importante.I risultati della sua cura sembrano funzionare.

Il prezzo delle azioni Ferrari è quasi raddoppiato da quando è arrivato lei nel 2021. L’hanno battezzata un manager che arriva dalla luna perché prima di atterrare a Maranello lei era un esperto di chip. All’Università di Pisa ha studiato Fisica e ha scritto una tesi sui quark. Le piace questa definizione di marziano per l’auto? E quando ha guidato la prima volta una Ferrari?

Marte forse è un po’ troppo distante (ride ndr), ma sicuramente per il tradizionale mondo dell’auto io sono un profilo insolito. Ma proprio il fatto di essere un outsider mi permette di vedere le cose in modo diverso e credo mi dia dei vantaggi sul fronte dell’innovazione. È come andare a sciare. Se vai in pista la mattina presto scegli il tuo percorso, se vai al pomeriggio, volendo o nolendo, finisci per seguire la stessa pista tracciata dagli altri prima di te. Il mio “battesimo” su una Rossa l’ho fatto alla fine degli anni Novanta grazie a un amico della Silicon Valley che mi fece fare un giro sulla sua F50. Oggi devo dire che la parte migliore dell’essere l’amministratore delegato di Ferrari è poter guidare una Ferrari.

A proposito, cosa si aspetta dal futuro?

Come padre di poter continuare a infastidire (ride ndr) mia figlia che ormai ha 19 anni e si sente grande ma che resterà sempre la mia unica splendida bambina; come marito continuare a condividere le esperienze con la donna che da oltre 20 anni è al mio fianco. Come uomo continuare ad imparare, sempre.

Quest’ultima aspettativa è tipica del mondo scientifico.

Sì, mi è rimasta dentro. Io credo che l’unico vero vantaggio competitivo sostenibile consista nella capacità di apprendere e di cambiare più rapidamente degli altri. E questo credo sia vero in tutti gli ambiti della vita. Questo per me significa agire come scienziati, guardare al futuro senza dimenticare il valore del passato.

Avete tante collaborazioni in piedi, ma una mi ha colpito. Quella con l’università di Bologna nel Semiconductor Physics Group. C’entra ovviamente l’auto elettrica…

Con loro abbiamo messo in piedi un “E-Cells Lab” che sostanzialmente studia le batterie di prossima generazione perché dobbiamo comprendere come migliorare le performance degli accumulatori. La chimica è la chiave di questo futuro. Ma tornando alla sua domanda, penso che in questa collaborazione ci siano tre messaggi importanti da far passare. Il primo è che – sempre di più – bisogna lavorare assieme agli altri per imparare velocemente: il mondo accademico e quello industriale devono essere più legati. Abbiamo una bella università vicino a noi. Bologna è forte da sempre nella chimica, dai tempi di Galvani, e quindi per la Ferrari è un’ottima occasione avere questa collaborazione. Il secondo messaggio importante è che per poter usare bene una tecnologia la devi conoscere nei minimi dettagli. Terza cosa, abbiamo tante ragazze e ragazzi bravi e così offriamo loro la possibilità di potersi esprimere su un settore nuovo.

Non le chiedo dettagli tecnici della Ferrari elettrica, ma qualcosa sulla direzione in cui state lavorando…

Per garantire performance uniche avremmo bisogno di due tipi di batterie. Di quelle che contengono tanta energia e di quelle che sono in grado di rilasciare questa energia molto velocemente. Il litio è un ottimo candidato per fare tutto questo, però siamo aperti a considerare anche altri elementi chimici. È questo il bello della scoperta e dell’esplorazione. Ed il metodo “Try Learn Adapt Nimbly” aiuta.

Avete appena presentato l’e-building Ferrari. E mi ha colpito una cosa: il 30 per cento del suo spazio non ha ancora una destinazione.

È il futuro. Non sappiamo cosa ci aspetta e siamo aperti a tutto. L’innovazione vera lascia sempre porte aperte. L’innovazione non ha un success rate del 100%, altrimenti sarebbe produzione. Per adesso l’e-building ci regala la possibilità di realizzare all’interno della nostra fabbrica componenti strategici per le auto elettrificate, dalle batterie agli assali. E questo è fondamentale non solo per le auto elettriche ma anche per quelle ibride. Il tutto con tecnologie più sostenibili. Posso dire, in sostanza, che l’e-building dimostra che noi crediamo che il futuro richieda nuove capability e nuove tecnologie, da adottare con agilità e flessibilità.

Mi sembra di capire una cosa: l’elettrificazione – che sta dando problemi a molte case automobilistiche – per la Ferrari potrebbe essere una grande risorsa?

Qui voglio essere molto preciso. Il ferrarista, ovvero chi guiderà in futuro una nostra macchina, sa benissimo quali devono essere le caratteristiche irrinunciabili di una Rossa. Così, quando progettiamo un nuovo modello, cominciamo sempre da quelle che sono le emozioni che vogliamo trasferire al cliente finale. Per un ferrarista un’auto va ben oltre quello che propongono le altre case automobilistiche. E non solo dal punto di vista stilistico o storico, ma anche da quello dinamico. E poi c’è la dimensione aerodinamica e quella dei materiali che dobbiamo usare per migliorare le prestazioni e per rendere l’auto sempre più sostenibile. Sono tutte dimensioni dell’esplorazione, dell’innovazione.

Ho letto che lei sostiene che la Ferrari non vuole essere arrogante dal punto di vista tecnologico. Ce lo spiega?

Un’azienda esiste se e solo se i clienti sono soddisfatti. Ecco perché la scelta finale spetta sempre e solo al cliente: in Ferrari non vogliamo avere l’arroganza di imporre un motore elettrico o uno ibrido o endotermico. Inoltre, bisogna considerare che il percorso dell’elettrificazione, come tutti i percorsi innovativi, non è un percorso lineare. Le transizioni tecnologiche in qualsiasi settore e in qualsiasi industria non avvengono mai in modo discontinuo quindi non si poteva pensare di fare una transizione repentina dal termico all’elettrico.

Il cliente prima di tutto…

Sì, sembra una cosa banale, vero? Ma non sempre il concetto viene applicato. Senza i clienti, Enzo non avrebbe avuto i soldi per correre.

Il cliente Ferrari è sempre più giovane, perché?

Deriva dal fatto che in molti mercati – come sud Corea, Taiwan, Cina e paesi emergenti dell’Europa dell’Est- ci sono tanti imprenditori giovani che hanno avuto o stanno avendo successo nei settori industriali più disparati, dalla old alla new economy.

E questo cambia l’approccio con l’innovazione e la tecnologia?

Direi che lo fa diventare sempre più emozionante perché non dimentichiamo che tutto deve essere al servizio dell’uomo. Torniamo al discorso iniziale, da dove siamo partiti. L’importanza delle persone. Al centro di tutto: “Le fabbriche sono fatte di uomini, macchine e muri. La Ferrari è fatta soprattutto di uomini”.

Benedetto Vigna sarà tra gli speaker dell’Italian Tech Week, dal 25 al 27 settembre alle OGR di Torino

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