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Dacci oggi la nostra disinformazione quotidiana

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Qualche giorno fa, durante una visita di Stato in un paese europeo, Sergio Mattarella ha detto che siamo vittime “di una diffusa tempesta di fake news russe“. Per dire una cosa così forte il presidente della Repubblica avrà ricevuto un rapporto riservato che sostanzia l’affermazione. Del resto che la Russia usi anche questi metodi, ovvero la diffusione di notizie false sul web e sui social, per condizionare il nostro dibattito pubblico è cosa nota da tempo. Ed il timore è che grazie alla facilità con cui l’intelligenza artificiale generativa può creare contenuti verosimili, il rischio per la democrazia sia serio. Ma si tratta davvero di una tempesta? E che effetti sta avendo? Difficile dirlo parlando del fenomeno soltanto con la pancia e quindi con la paura; ma sono uscite due importanti ricerche scientifiche che provano a misurare la portata della “tempesta” e le sue conseguenze e i risultati sono sorprendenti. 
Secondo la ricerca pubblicata su Nature la disinformazione esiste ma i suoi effetti sarebbero molto contenuti: in pratica le notizie clamorosamente false raggiungono pochissime persone, di solito quelle già convinte di una certa cosa; e invece non riuscirebbero a far cambiare opinione agli altri (i dati si riferiscono alle elezioni americane del 2016, quelle vinte da Trump, con i troll russi che danneggiavano la rivale Hillary Clinton).

In realtà a volte sono le grandi testate giornalistiche ad amplificare fake news russe che altrimenti vedrebbero in pochi. Un esempio recente viene dagli Europei in corso in Germania: c’è un video che mostra i tifosi della Romania inneggiare a Putin. In realtà quel video, ripreso da tv e giornali, ha un audio modificato e per dimostrarlo è stato fatto circolare un altro video dei tifosi rumeni che invece insultano Putin, solo che anche il secondo video è fuorviante, perché non si tratta della stessa partita e dello stesso stadio. Nessuno però ha verificato la cosa: abbiamo pubblicato la fake news russa come se fosse vera, poi l’abbiamo smentita ma con un video sbagliato. Questa cosa non ci aiuta affatto e rischia anzi di essere la ragione per cui, secondo l’ultimo report di Reuters sul giornalismo digitale, le persone tendono a informarsi sempre meno (lo spiega bene Valerio Bassan nella newsletter Ellissi). 
Il fatto, e vengo alla seconda ricerca, uscita su Science a maggio, è che più delle fake news contribuiscono alla disinformazione le notizie parziali o scorrette pubblicate ogni giorno dalle grandi testate giornalistiche. La ricerca si concentra sulle notizie pubblicate durante la pandemia e conclude dicendo che più dei post dei No Vax, che hanno avuto un impatto minore, hanno fatto danni le notizie “con titoli allusivi e fuorvianti provenienti da fonti credibili” e quindi con una grande circolazione.

Sono i titoli acchiappa clic spesso il problema, la ricerca spasmodica del traffico a qualunque costo, che trasforma molte grandi testate in una brutta copia dei social network. 
Un paio di settimane fa il presidente della Repubblica ha ricevuto al Quirinale i vertici di un grande giornale italiano, definendo i giornali “garanzia di notizie certificate”.

Ma spesso purtroppo non è così: i giornali invece di spiegare, tifano per una parte politica che ha sempre ragione mentre l’altra ha sempre torto (persino i quotidiani sportivi a volte ammettono la superiorità dell’avversario, come la Spagna con l’Italia; molto più difficile, anzi impossibile, leggere un elogio della Meloni, su un fatto specifico, su un giornale di sinistra, o della Schlein su un giornale di destra. Viviamo un derby continuo). 
A ciò si aggiunge che quando sbagliamo – e tutti sbagliamo – non ci correggiamo mai. Sono convinto che se facessimo meglio il nostro mestiere i troll russi ci farebbero un baffo.

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