Cole Davis è il direttore del programma di lancio dell’atteso viaggio sulla luna dell’Apollo 11. Kelly Jones è una spregiudicata esperta di marketing che viene assunta per promuovere l’impresa spaziale il più possibile, per fomentare il popolo americano a seguire con passione la missione e gli sponsor a investirvi. Nel mezzo c’è la politica del governo Nixon, determinata a mostrare al mondo – con ogni mezzo a disposizione, oltre l’etica – che l’America approderà sulla luna ben prima della Russia.
Un film-caleidoscopio, con dentro commedia, love story, dramma, metacinema e una spruzzata di thriller politico.
È tutto questo Fly me to the moon, creatura ibrida o complessa a seconda dei punti di vista, diretta da Greg Berlanti. Nelle duplici vesti di produttrice e protagonista spicca Scarlett Johansson, che nella prima parte del film conosciamo come Kelly Jones, venditrice spregiudicata, bugiarda e persuasiva dalle multiple identità, imbattibile nel suo lavoro. Un personaggio a metà tra Leonardo Di Caprio in Prova a prendermi e Jennifer Lawrence in Joy. Il suo carisma e la sua furbizia vengono notate dai vertici della politica americana, tanto da venir avvicinata da un uomo del presidente (Woody Harrelson, nell’ennesima performance memorabile della sua carriera). Le fa la proposta delle proposte: lavorare per promuovere la missione sulla luna, trasformando in star gli astronauti e facendoli entrare nel cuore della gente. Dal momento in cui Kelly entra alla NASA e incontra Cole Davis, astronauta mancato a capo del programma di lancio, tutto cambia.
La commedia sofisticata cede gradatamente il passo a una commedia romantica che si prende il suo tempo per partire, e parallelamente si aprono altre due strade narrative: il dramma della commemorazione della missione fallita Apollo 10, trauma da cui Davis stenta a riprendersi, e la costruzione a tavolino, o meglio in studio, del finto allunaggio. Una finzione voluta dai vertici della politica per rendere credibile l’incredibile e trasmettere al mondo, e all’elettorato americano, il prodigio della missione riuscita in diretta, anche qualora fosse nella realtà fallita.
Un film enormemente ambizioso, che traccia tante, forse troppe, piste narrative con una regia non particolarmente efficace, che tuttavia riesce nell’intento di intrattenere, incuriosire, divertire, commuovere e far riflettere sulle manipolazioni multiple di una politica spregiudicata, decisa a calpestare ogni etica pur di mostrare al mondo intero la sua volontà di grandezza.
Channing Tatum è credibile per quanto eccessivamente ingessato, Scarlett Johansson risulta perfettamente aderente al suo ruolo, tanto che è impossibile non affezionarsi al suo personaggio e agli incredibili escamotage pubblicitari inventati per “vendere” il sogno del viaggio sulla luna agli americani. Un’antieroina furbissima e scorretta, che solo nella seconda metà del film svela la sua vulnerabilità e il suo lato umano, utili in scrittura a non appiattirla su una silhouette solo caricaturale.
Menzione speciale infine per il villain interpretato da Woody Harrelson, che riesce nell’impresa non scontata di far piacere al pubblico un personaggio sulla carta assolutamente detestabile.
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