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I migliori giorni

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Recensione di
Paola Casella

venerdì 30 dicembre 2022

La vigilia di Natale, Capodanno, San Valentino, l’8 marzo: ricorrenze canoniche che possono rivelarsi cartine tornasole in tema di legami famigliari, buone intenzioni, relazioni di coppia e condizione femminile. I migliori giorni scandaglia tutte e quattro nelle loro valenze più esplosive, ripristinando il format italiano del film a episodi, e andando a stanare alcuni mostri contemporanei e alcuni difetti italici che non sembrano risparmiare (quasi) nessuno.

Nel primo episodio due fratelli ai poli opposti della questione vaccinale rischiano di rovinare la cena della vigilia alla sorella impegnata in politica; nel secondo un imprenditore fa visita con moglie e figlia ad una comunità per senzatetto a puro scopo di immagine; nel terzo un uomo sposato con amante giovanissima cerca di passare San Valentino alternandosi fra le due donne; e nel quarto viene chiesto ad una conduttrice televisiva di scusarsi pubblicamente per un servizio misogino del quale viene ritenuta corresponsabile.


Il primo e il terzo episodio sono diretti da Edoardo Leo e scritti insieme a Marco Bonini, entrambi anche interpreti del segmento iniziale accanto a Massimiliano Bruno, che è regista e coautore del secondo e quarto episodio (firmati il secondo con Beatrice Campagna, Salvatore Fazio e Simone Herbert Paragnani, il quarto con Andrea Bassi e Gianni Corsi).


È un lavoro di squadra che affronta temi di attualità con un bel piglio aggressivo che omaggia la commedia (amara) all’italiana: il lavoro di scrittura dei dialoghi è superiore alla media fino a tre quarti di ciascun episodio, così come è ottimo il lavoro degli attori, in particolare Leo e Bruno nel primo episodio, che ha la ferocia e il polso sull’attualità di Perfetti sconosciuti; Max Tortora e Giorgia Salari nel secondo; Valentina Lodovini nel terzo episodio (con un Luca Argentero eccezionalmente in parte); una magnifica Claudia Gerini e Stefano Fresi nel quarto, più vero del vero quanto a spietatezza della macchina televisiva.

Colpisce sia la capacità dei registi di gestire bene il lavoro corale degli attori, dotati per gran parte di un copione all’altezza, sia l’abilità delle attrici più giovani – soprattutto Liliana Fiorelli, Mariachiara Dimitri e Maria Chiara Centorami – che sfatano la reputazione di scarsa capacità recitativa della loro generazione.

Il tallone d’Achille di I migliori giorni – come di molti film italiani contemporanei – sono i finali: il primo episodio si sgonfia come un soufflé, il secondo rimane sospeso, il terzo si avvia ad una soluzione improbabile e il quarto, pur vantando l’epilogo più riuscito, si lancia in un sermone davvero incoerente con l’agilità di dialogo che l’ha preceduto.


Tuttavia, se è vero che singolarmente sono conclusioni drammaturgicamente deludenti, è anche vero che, messi l’uno a fianco all’altro, i quattro finali rivelano la più amara delle verità: che in Italia (quasi) tutto si accomoda, e le rivoluzioni non la spuntano (quasi) mai sul quieto vivere. In questo senso I migliori giorni (titolo di per sé altamente ironico) più che una commedia è un horror che denuncia l’attitudine nazionale a tirare a campare assestando un colpo al cerchio e uno alla botte, con gattopardiana rassegnazione a non cambiare (quasi mai) nulla. Solo il doppo finale del quarto episodio apre uno spiraglio alla speranza, affidandola alla generazione Zeta; ci auguriamo che sia una fiducia ben riposta.


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