Prendersi e lasciarsi, ma senza mai dirsi addio. La storia del tennis olimpico è vissuta a intermittenza, tra grandi ambiguità e molto fragili certezze, comprese quelle espresse da De Coubertin, che fecero da collante ai primi Giochi, per poi disintegrarsi con il mutare dei tempi. Ricco significa dilettante, pensava il barone a cinque cerchi, e dal suo punto di vista di uomo nato tra gli agi della propria casta, e nella presunta purezza dei comportamenti e dei valori, la regola una sua logica ce l’aveva. Che senso ha guadagnare con lo sport se sei già perdutamente, incomprensibilmente, maledettamente ricco? Ma il mondo è bello perché vario, e di volta in volta si sono impegnati in molti a fare carta straccia della regola principale dei Giochi del barone. Così, il tennis entra compiutamente nei Giochi solo quando lo scontro fra falsi dilettanti e veri professionisti risulta ormai sedato e l’amministrazione tennistica ha assunto un’inquadratura definitiva, comprensiva di potentati economici e organizzativi (Atp, Wta e Federazione Internazionale, i poli che si spartiscono il tennis) con i quali poter instaurare un dialogo. Superate le prove “dimostrative” a Los Angeles 1984 (dove Paolo Canè fu medaglia di bronzo) il tennis riparte in pompa magna da Seul 1988 trovando subito un’occasione di grandeur.
Da Boland a Nadal
C’è un prima e un dopo, dunque, nei Giochi del tennis. Il prima è fondato su grandi personaggi il cui essere dilettanti era da prendere a beneficio d’inventario. Si esibiscono all’ombra dei cinque cerchi molti vincitori di Wimbledon e personaggi del tutto sconosciuti. Il primo oro va a Pius Boland, un inglese in vacanza ad Atene. Dicono giocasse benino. Lo reclutarono per caso, per riparare all’infortunio di uno dei più forti. Poi i Doherty, Laurie e Reggie, e Josiah Ritchie, campioni di Wimbledon. Nel 1920 ad Anversa domina Suzanne Lenglen, che poi passerà al professionismo. A Parigi nel 1924 il pubblico scopre Vincent Richards, scampato per miracolo all’affondamento del Titanic. Trascorse un’ora nelle acque gelide, i medici del Carpathia, la nave che giunse per prima nel luogo del disastro, volevano amputargli le gambe. Lui si oppose, sei mesi dopo vinceva gli US Open di tennis e dodici anni dopo le Olimpiadi. Da Parigi 1924 a Seul 1988 il salto è lungo, 64 anni per assistere al secondo tempo, ma la ripresa è emozionante. La mia prima Olimpiade, inviato da Epoca per il caso (doping) di Ben Johnson, ma con un occhio al tennis. È l’anno di Steffi Graf, che conquista il Grand Slam e l’oro in singolare. Nasce il Golden Slam e lei ne è rimasta l’unica detentrice. Più ori di tutte, quattro, li ha vinti Venus Williams. Al comando del singolare maschile c’è Andy Murray, vittorioso a Londra 2012 e Rio 2016. Il successo di Pechino, consegnò a Nadal la vetta del tennis, era il 2008. Per invogliare i tennisti a partecipare, i Giochi mettevano in palio punti validi per la classifica. Ora non è più così. Si partecipa per amor di patria, e il richiamo funziona lo stesso.
L’unica medaglia azzurra
L’unica medaglia italiana, fin qui, è venuta dal barone Hubert De Morpurgo, che poco amava essere considerato italiano. Ma Trieste, dov’era nato, era stata riportata al di qua dei confini. La medaglia, di bronzo, giunse ai Giochi di Parigi 1924. Sono passati cento anni e fa impressione vedere l’Italia tra le squadre favorite nella nuova kermesse olimpica parigina. Si gioca al Roland Garros, dove lo scorso giugno abbiamo dato forma a una grande prova di squadra. Semifinale in singolare maschile (Sinner) e finali nel singolare femminile (Paolini), nel doppio donne (Paolini ed Errani) e nel doppio uomini (Bolelli e Vavassori). Ne verrebbero tre medaglie d’argento e una probabile di bronzo. Ripetersi non sarà facile, ma ci sono anche le condizioni per migliorare.
Speranze tricolore
Sessantaquattro presenze nei tabelloni del singolare, trentasei coppie in quelli dei doppi e del misto. Il livello del torneo vale uno Slam. Nel maschile, Sinner, Alcaraz, Djokovic e Medvedev da battere, con Tsitsipas e Ruud un gradino sotto. Tra le ragazze, Swiatek su tutte…Viene da quattro vittorie in cinque anni al Roland Garros. Paolini, finalista a Parigi poi a Wimbledon, sogna una doppia medaglia, la coppia con l’amica Sara Errani funziona alla perfezione. Nel maschile è cominciata da Wimbledon la rincorsa alla creazione di qualche buon doppio nazionale. Ce ne sono (Thompson-Purcell australiani finalisti ai Championships, i più accreditati) ma non moltissimi, e Bolelli-Vavassori possono trovare una strada per andare a medaglia. Il doppio potrebbe rivedere in campo Nadal, al fianco di Alcaraz, mentre il doppio misto è tutto da scoprire, ma se Swatek e Hurkacz decidono di provarci, Polonia sicura sul podio.
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