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In nome del popolo italiano

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Recensione di
Emanuele Sacchi

mercoledì 11 ottobre 2017


Mariano Bonifazi è un giudice integerrimo, Lorenzo Santenocito un imprenditore corrotto e senza scrupoli. In seguito alla morte di Silvana, prostituta d’alto bordo, il giudice ha facoltà di interrogare Santenocito come persona interessata. Tra i due ha inizio un duello senza sconti, giuridico e ideologico.


Spietato Dino Risi lo è sempre stato. Con il dittico de Il sorpasso e I mostri, per limitarsi ai suoi due titoli più celebri, ha fustigato senza pietà il mal vezzo italico, i segreti inconfessabili dell’uomo medio, la mancanza di moralità diffusa in vasti strati della società.


Quella di In nome del popolo italiano, che risente del clima e delle tensioni di inizio Settanta, è operazione sottile e, per certi versi, più coraggiosa e controversa. Nonché in odore di preveggenza, come dimostrerà la storia d’Italia di lì a una ventina d’anni con Tangentopoli e i suoi derivati. Se la straordinaria maschera gassmaniana di Santenocito, palazzinaro senza scrupoli, sembra la quintessenza del “mostro” italico raccontato dieci anni prima, Risi – che ancora una volta poggia sulla sceneggiatura impeccabile di Age & Scarpelli – lascia intendere, lentamente ma decisamente, come i contorni tendano a essere più sfumati di quanto sembri a un primo sguardo e come una distinzione netta tra bene e male sia sempre più difficile da operare.

In nome del popolo italiano sembra una commedia, a partire dalla scena irresistibile del primo interrogatorio a Santenocito (“Io amo il linguaggio aderenziale e desemplicizzato”), vestito da centurione perché prelevato da una festa in maschera. Così come Mariano Bonifazi sembra un eroe, armato della propria condotta integerrima e baluardo di etica in un mondo al collasso, rappresentato dal palazzo di giustizia vicino al crollo.



Risi lavora sull’immedesimazione con il punto di vista di Bonifazi e sulla nostra consapevolezza di quanto rancore si nasconda in lui, di quanto il senso di essere nel giusto possa confliggere con l’operato della giustizia in senso stretto. Tanto più Santenocito risulta disgustoso per le sue azioni, quanto Bonifazi finisce per avvicinarsi a un Harry Callahan, armato di un faldone di avvisi di garanzia al posto di una 44 Magnum. L’epilogo, di spietata e abbacinante crudeltà, resta uno dei vertici del cinema italiano dei Settanta, a partire dalle esultanze e dalla violenza in coincidenza della partita di calcio per arrivare al colpo di scena finale, destinato, ad ogni nuova visione, a lasciare diversi quesiti – morali, interiori, politici – insoluti.


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Tognazzi/Gassman in una pungente commedia di Dino Risi.

Un magistrato senza macchia indaga sulla morte di una giovane drogata e risale così a un industriale, il quale tenta con ogni mezzo di ostacolarlo. Mentre la città tripudia per una vittoria calcistica, il magistrato, che ha scoperto la non colpevolezza dell’indiziato, decide di procedere egualmente contro di lui per colpire attraverso l’uomo tutto il marcio di una società irrimediabilmente corrotta.



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