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Italy: Beijing’s Global Media Influence 2022 Country Report | Freedom House

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Questo rapporto è stato realizzato nell’ambito del progetto Beijing’s Global Media Influence di Freedom House. Lo studio ha rilevato che dal 2019 il Partito Comunista Cinese ha aumentato i suoi sforzi per influenzare i flussi di notizie e informazioni in tutto il mondo, utilizzando tattiche sempre più sofisticate, segrete e coercitive. Ma giornalisti, gruppi della società civile e alcuni governi hanno risposto a questa campagna in modi che ne hanno attenuato gli effetti. I risultati completi del rapporto e la metodologia sono disponibili in inglese, spagnolo o cinese. Questo rapporto rappresenta uno studio approfondito dell’Italia. 

 

Sforzi di Pechino per influenzare i media  

Alto 

43 / 85 

Capacità di ripresa. e risposta a livello locale  

Alto 

45 / 85 

Status  

Vulnerabile 

 

Risultati principali 

  • Aumento degli sforzi per esercitare influenza: Gli sforzi del governo cinese per influenzare i media sono aumentati negli ultimi tre anni, soprattutto nel contesto della pandemia COVID-19. Gli accordi di cooperazione con i media e la condivisione di contenuti sono proliferati dopo la visita del presidente cinese Xi Jinping in Italia nel marzo 2019 e la successiva firma da parte dell’Italia di un memorandum d’intesa (MOU) sulla Belt and Road Initiative (BRI). Nei primi giorni della pandemia sono aumentati i livelli di disinformazione da parte dei rappresentanti dello Stato cinese. Nel settembre 2021, il Quotidiano del Popolo, organo di informazione del Partito Comunista Cinese (PCC), ha lanciato la sua versione italiana. 

  • Opinione pubblica mista: La percezione italiana della Cina era prevalentemente negativa a metà degli anni 2010, ma si è animata in vista dell’accordo BRI nel 2019. L’opinione pubblica favorevole ha raggiunto un punto massimo all’inizio del 2020 tra gli aiuti cinesi per la pandemia e i resoconti a favore di Pechino nei media. Se da un lato l’opinione pubblica italiana attribuisce alla Cina la responsabilità della pandemia COVID-19, dall’altro identifica la gestione della crisi cinese come un modello da emulare e il sostegno della Cina all’Italia per la pandemia come genuino. Nel 2021 le opinioni sono diventate più caute. Molti sono ancora favorevoli a una maggiore cooperazione nelle aree di interesse comune, ma rispetto al 2018 vede la Cina come una minaccia e preferisce allearsi con gli Stati Uniti e l’Europa (vedi Impatto). 

  • Mutamento dell’accoglienza politica, maggiori tutele normative: La leadership italiana offriva un approccio più conciliante nei confronti della Cina nei media prima del cambio di governo del 2021, ma da allora ha assunto una posizione più forte nei confronti dei diritti umani di Pechino e dell’influenza cinese in Italia. Sebbene sia ancora presente una minoranza vocale favorevole a un maggiore impegno con la Cina, l’Italia ha adottato misure per contrastare i tentativi di influenza, ad esempio indagando sull’interferenza di attori stranieri nei settori economici principali, richiedendo che un maggior numero di settori fosse sottoposto a uno screening degli investimenti strategici e limitando la presenza di società di telecomunicazioni cinesi come Huawei. Le aziende cinesi hanno ancora una presenza sostanziale nel mercato delle telecomunicazioni e legami con i fornitori di contenuti Mediaset e Rai (vedi Propaganda, Diffusione dei contenuti, Capacità di ripresa e risposta).   

  • Cooperazione dei media statali cinesi con i principali organi di informazione pubblici e privati: L’Agenzia Nazionale Stampa Associata (ANSA) aveva un accordo di condivisione dei contenuti con l’agenzia di stampa statale cinese Xinhua per tutto il periodo di copertura mediatica, sebbene nell’agosto 2022 è stata annunciata l’interruzione dell’accordo. Anche gli accordi con altre agenzie di stampa italiane e con l’emittente Mediaset sono venuti meno negli ultimi anni. L’azienda italiana Class Editori, che pubblica un giornale economico, ha ancora rapporti di collaborazione con diversi media statali cinesi, tra cui Xinhua e China Media Group (CMG). Nel 2019, Il Sole 24 Ore, quotidiano economico nazionale e uno dei periodici più affidabili del Paese, ha siglato una partnership con l’Economic Daily, un giornale sponsorizzato dallo Stato cinese. Nello stesso anno, l’emittente pubblica italiana Rai ha firmato un accordo di collaborazione con CMG. Anche diverse testate che non hanno accordi formali di cooperazione pubblicano regolarmente contenuti provenienti da diplomatici cinesi o da media di Stato (vedi Propaganda, capacità di ripresa e risposta). 

  • Forte impegno di China Radio International: China Radio International (CRI) è molto attiva in Italia e gestisce una rivista bilingue, un’applicazione mobile e vari account sui social media con oltre 500.000 follower. Alcuni account, in particolare quello del corrispondente di CRI Liu Pai, ricevono alti livelli di coinvolgimento da parte degli utenti. Liu è apparso spesso sulla televisione tradizionale come commentatore all’inizio del 2020 (vedi Propaganda). 

  • Disinformazione legata al COVID, copertura preferenziale da parte delle emittenti pubbliche: Le emittenti nazionali italiane – in particolare la Rai, con la sua partnership con CMG – hanno offerto una copertura elogiativa della Cina in occasione dell’assistenza di Pechino all’Italia per la pandemia. Separatamente, una rete di disinformazione pro-Pechino su Twitter ha amplificato le narrazioni dello Stato cinese riguardanti il COVID-19, le questioni dell’Unione Europea (UE) e gli aiuti cinesi per due settimane, finché non è stata smascherata da giornalisti locali (vedi Propaganda, Disinformazione). 

  • Autocensura dovuta alle intimidazioni dell’ambasciata cinese e ai problemi del settore dei media: I tagli al budget del governo per i media italiani, tradizionalmente dipendenti dallo Stato, hanno reso più attraenti per le testate e i giornalisti gli accordi sui contenuti stranieri, gli investimenti e i posti di corrispondente estero, creando un incentivo per i giornalisti italiani ad autocensurarsi per mantenere il patrocinio e l’accesso cinese. Anche i diplomatici cinesi si impegnano occasionalmente in intimidazioni per influenzare la copertura mediatica (vedi Censura). 

  • Forte influenza sui media della diaspora cinese: I media in lingua cinese sono dominati da contenuti favorevoli a Pechino, che possono influenzare la politica locale, dato che la diaspora cinese è sempre più attiva negli affari e negli affari pubblici e ha mostrato la volontà di mobilitarsi in tutto il Paese (vedi Media della diaspora). 

  • Società civile vivace e diversità di copertura da parte dei media della Cina: Gli attivisti e i giornalisti della società civile italiana hanno concentrato sempre più la loro attenzione sulla disinformazione e sulle interferenze straniere, comprese quelle provenienti dalla Cina. È disponibile un’ampia gamma di fonti di notizie sulla Cina, comprese quelle internazionali che offrono una copertura da parte dei media critica. Le competenze relative alla Cina stanno crescendo, ma devono ancora penetrare in modo significativo nei media tradizionali (vedi Capacità di ripresa e risposta). 

  • Minacce politiche alla libertà di stampa: La libertà di stampa in Italia si è deteriorata negli ultimi anni e i media italiani non dispongono ancora di un solido sistema di autoregolamentazione. La maggior parte delle testate ha legami con i partiti politici, la concentrazione della proprietà dei media è elevata e gli attori politici continuano a prendere di mira i giornalisti utilizzando le leggi sulla diffamazione (vedi Capacità di ripresa e risposta). 

Quadro di riferimento

L’Italia è una democrazia costituzionale con uno status “Free” nel rapporto Freedom in the World 2022 di Freedom House sui diritti politici e le libertà civili. Ha anche uno status “Free” nell’ultimo rapporto di Freedom House sulla libertà di Internet. Le libertà civili sono generalmente rispettate, ma problemi endemici di corruzione e criminalità organizzata rappresentano una sfida continua allo Stato di diritto.

Il panorama mediatico italiano è tradizionalmente dominato dalla televisione, anche se al 2021 il 76% degli italiani apprende notizie da fonti online, compresi i social media. Facebook è la piattaforma di social media più utilizzata come fonte di notizie. La televisione continua a determinare la direzione del discorso pubblico; nel 2021 il 75% degli italiani apprende notizie dai canali televisivi. Nel 2021 solo il 18% degli italiani utilizza i giornali cartacei come fonte di notizie. La stampa italiana sopravvive grazie ai sussidi governativi e al sostegno finanziario di grandi aziende interessate a influenzare il discorso politico. Lo scetticismo nei confronti dei media rimane diffuso: nel 2022, solo il 13% degli italiani ritiene che i media siano liberi da influenze politiche inappropriate.

L’Italia ha stabilito relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese (RPC) nel 1970, dopo anni di sostegno da parte dei partiti popolari socialisti e comunisti italiani. Da allora, le relazioni tra Roma e Pechino sono state segnate da divisioni, inversioni e ambiguità sia interne nei partiti che tra partiti. Per molti anni, la Cina è stata una preoccupazione minore nella politica estera italiana. Tuttavia, dopo l’ammissione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) all’inizio degli anni 2000, la concorrenza tra i produttori italiani e le importazioni cinesi ha dato origine a un dibattito pubblico sempre più negativo. I gruppi industriali italiani e i partiti di centro-sinistra hanno dipinto la Cina come un rivale economico; le imprese italiane hanno avviato la maggior parte del lavoro dell’Unione Europea (UE) per prevenire il “dumping” dei prodotti cinesi a basso costo, mentre i politici italiani hanno proposto norme UE per vagliare e potenzialmente bloccare gli investimenti cinesi in settori strategici. Poco dopo la crisi finanziaria del 2008, enti statali cinesi hanno iniziato a investire in aziende energetiche italiane di proprietà statale. Sono seguiti altri investimenti, come l’acquisizione del produttore privato di pneumatici Pirelli nel 2016 da parte della società statale cinese ChinaChem.

In particolare, nel marzo 2019, sotto il primo governo del primo ministro Giuseppe Conte – una coalizione di due partiti populisti outsider, il Movimento Cinque Stelle e la Lega – l’Italia ha firmato un memorandum d’intesa per diventare uno dei partner ufficiali di Pechino nella Belt and Road Initiative (BRI). I dettagli del memorandum d’intesa non sono chiari, anche se la Reuters ha citato una fonte governativa senza nome, secondo la quale i progetti previsti potrebbero avere un valore fino a 20 miliardi di euro (22,5 miliardi di dollari). La firma del memorandum d’intesa, che ha coinciso con la visita del presidente cinese Xi Jinping, ha dato il via a una serie di accordi di cooperazione tra le due parti, anche nel settore dei media.

Il memorandum BRI, pur non essendo vincolante, ha diviso la coalizione di governo dell’epoca e ha scatenato una rapida reazione da parte degli alleati e dei cittadini italiani. Matteo Salvini, leader della Lega e poi vicepremier, si è opposto al memorandum d’intesa nonostante il collaboratore della Lega Michele Geraci ne avesse coordinato la firma. L’assistenza cinese al sorgere della pandemia, all’inizio del 2020, ha generato benevolenza reciproca tra Roma e Pechino, ma nell’ottobre dello stesso anno il governo italiano ha iniziato a bloccare le transazioni tra il gigante cinese delle telecomunicazioni Huawei e le aziende italiane che costruiscono reti mobili di quinta generazione (5G). Dopo essere salito al potere nel febbraio 2021, il governo del primo ministro Mario Draghi ha permesso alcuni acquisti 5G da Huawei – a condizioni rigorose – ma soprattutto ha consolidato un ritorno alla politica più scettica nei confronti della Cina favorita dagli Stati Uniti e dal resto dell’UE, etichettando in modo inequivocabile le relazioni con Washington come “molto più importanti” di quelle con Pechino.

Sforzi di Pechino per influenzare i media

Propaganda e promozione di narrazioni privilegiate

Narrazioni chiave

Le principali narrazioni del Partito Comunista Cinese (PCC) in Italia seguono il pacchetto standard della propaganda di Stato cinese, con una miscela di costruzione di rapporti, promozione positiva della Cina e contro-narrazioni verso le critiche.

Una serie di narrazioni si concentra sugli interessi economici comuni di Cina e Italia, sminuendo le loro differenze ideologiche. Gli organi di stampa cinesi identificano la Cina come un partner economico essenziale per l’Italia, citando il crescente commercio tra i due Paesi (e ignorando il crescente deficit commerciale dell’Italia) sostenendo che la cooperazione bilaterale non debba essere minata da disaccordi sui diritti umani. Queste narrazioni sull’impegno economico sono state in gran parte incentrate sulle opportunità offerte dalla BRI, soprattutto in vista della firma del Memorandum d’Intesa sulla Belt and Road Initiative da parte dell’Italia nel marzo 2019.

La pandemia COVID-19 e i relativi aiuti medici della Cina all’Italia hanno portato a un’impennata di messaggi sul programma “Health Silk Road ” dal 2020. Le narrazioni dello Stato cinese hanno minimizzato gli aiuti provenienti dalla Commissione europea e non hanno menzionato il fatto che grandi quantità di forniture mediche sono state pagate dal Dipartimento della Protezione Civile italiana.

Un’altra serie di narrazioni dello Stato cinese si concentra sul tentativo di smorzare o neutralizzare le critiche derivanti dai valori democratici dell’Italia. Una di queste narrazioni nega semplicemente l’esistenza di problemi di diritti umani in Cina. L’ambasciata cinese in Italia pubblica sui social media contenuti in cui si sostiene che le fonti di informazione occidentali esagerano il numero di uiguri nei campi di detenzione nello Xinjiang, o sottolineano lo “sviluppo” del Tibet sotto la “guida” del PCC, trascurando di menzionare la repressione subita dai tibetani e la loro lotta per l’autogoverno. Una narrazione correlata evita le domande sostanziali sulla situazione dei diritti umani in Cina, insistendo sul fatto che controversie come la repressione di Hong Kong sono “affari interni”, respingendo le critiche internazionali come “interferenze straniere”. Infine, durante il periodo di copertura di questo rapporto (2019-21), l’ambasciata ha ripetutamente equiparato le critiche occidentali alla condotta di Pechino a una “nuova guerra fredda” che la Cina non vuole, facendo appello alla tradizionale diffidenza della sinistra italiana nei confronti del percepito imperialismo americano e alle sue speranze di fungere da terreno di mezzo tra Stati Uniti e Cina.

Fonti principali di diffusione dei contenuti

Cooperazione su larga scala con media pubblici e privati: Diverse grandi testate italiane hanno stipulato accordi di cooperazione con i media di Stato cinesi, molti dei quali sono stati firmati dopo la visita di due giorni di Xi Jinping a Roma nel marzo 2019. Durante il periodo di copertura di questo rapporto (2019-21), l’ANSA (Agenzia Nazionale Stampa Associata), la principale agenzia di stampa italiana, aveva un accordo di condivisione dei contenuti con l’agenzia di stampa statale cinese Xinhua, che consentiva ai contenuti dei media statali cinesi di apparire nell’ampia gamma di fonti d’informazione che si affidano al newswire dell’ANSA. La partnership era iniziata nel 2016 con un accordo per incoraggiare la cooperazione tra le due aziende. Nel marzo 2019 è stato firmato un altro accordo “per la diffusione in Italia di un servizio di notizie Xinhua in lingua italiana”. Un giornalista del quotidiano italiano La Repubblica ha osservato che in un determinato giorno del settembre 2020, 10 degli 11 articoli relativi alla Cina presenti sul sito web dell’ANSA erano scritti da, o in collaborazione con, Xinhua. Questo rapporto è durato fino alla fine del periodo di copertura, ma secondo quanto riferito è stato interrotto nel giugno 2022.

Almeno altre due agenzie di stampa, l’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) e l’Adnkronos, hanno riferito di accordi con i media statali cinesi. L’Adnkronos ha pubblicato regolarmente dal Silk Road Information Service di Xinhua per tutto il periodo di copertura e mantiene un “dialogo continuo” con Xinhu. La collaborazione risale al 2017. AGI, il cui rapporto con Xinhua risale al 2008, ha firmato un accordo con Xinhua nel 2014 che è stato rinnovato nel 2019. Durante il periodo di copertura, tuttavia, gli articoli di Xinhua non erano facilmente individuabili sul sito web.

La società di media italiana Class Editori, che pubblica il quotidiano economico Milano Finanza, ha molteplici collaborazioni con i media statali cinesi, tra cui Xinhua e China Media Group (CMG). Dal 2010, Class Editori e Xinhua hanno collaborato in iniziative quali scambio di notizie e formazione online. Nel 2019 hanno lanciato insieme Classxhsilkroad.it, una piattaforma che fornisce alle aziende informazioni sulle opportunità legate alla Belt and Road Initiative. Classxhsilkroad.it nasce da un accordo tra Class Editori e China Economic Information Service, che opera direttamente sotto Xinhua. Nel 2021, Class Editori e Xinhua hanno ospitato un webinar sulla Belt and Road Initiative trasmesso in diretta streaming sul sito di Milano Finanza, con la partecipazione dell’ambasciatore italiano in Cina Luca Ferrari. L’accordo di Class Editori con CMG prevede la realizzazione congiunta della rubrica “Focus Cinitalia”, pubblicata su Milanzo Finanza, la co-organizzazione di programmi televisivi e la condivisione di risorse. Nel 2019 è stato firmato un nuovo memorandum d’intesa tra Class Editori e CMG. Nel dicembre 2020, Class Editori e CMG hanno coprodotto un documentario che celebra i cinque decenni di relazioni diplomatiche Italia-Cina, trasmesso su diversi canali cinesi e italiani.

Il Sole 24 Ore, il principale quotidiano economico del Paese e uno dei giornali più affidabili del Paese, ha siglato una partnership con Economic Daily, un giornale cinese sponsorizzato dallo Stato, nel marzo 2019. L’accordo era finalizzato allo “sviluppo di prodotti editoriali su misura per il mondo degli affari dei due Paesi”. Il giorno successivo alla firma dell’accordo, Il Sole 24 Ore ha pubblicato 17 articoli pro-Pechino, tra cui traduzioni integrali del Quotidiano Economico e una raccolta di citazioni di Xi Jinping sulla Belt and Road Initiative. Nel 2021, il giornale ha pubblicato anche due articoli del Quotidiano del Popolo.

L’azienda mediatica privata italiana Mediaset, che guida la classifica dei telespettatori del Paese, ha firmato un memorandum d’intesa con CMG nel 2019, proseguendo una partnership iniziata nel 2007. Luca Rigoni, un importante conduttore di Mediaset, ha dichiarato che la sua organizzazione giornalistica non ha un proprio corrispondente in Cina e si affida a un contratto formale con CMG per accedere ai servizi dalla Cina. Al maggio 2021, secondo quanto riferito, il contratto era terminato.

Nel 2018, durante il periodo che precede il Memorandum d’Intesa sulla Belt and Road Initiative 2019 dell’Italia, Il Giornale, che è di proprietà della stessa famiglia che possiede Mediaset, ha firmato un accordo con CMG per distribuire la rivista CRI Cinitalia. I contenuti della rivista, disponibile in italiano e in cinese, sono stati regolarmente pubblicati sul sito web de Il Giornale durante il periodo di copertura.

Anche l’emittente pubblica italiana Rai ha firmato un accordo con CMG nel 2019, ampliando una partnership che risale al 2016. In occasione della visita di Xi Jinping nel marzo 2019, Rai, Mediaset e Class Editori hanno trasmesso un totale di 20 produzioni CMG nell’ambito della “Settimana della TV cinese”, che comprendeva una versione italiana di un programma con citazioni di Xi Jinping. La Rai ha anche trasmesso porzioni di un documentario in 100 episodi prodotto dalla CMG nel 2020.A un certo punto, durante la pandemia COVID-19, la Rai ha dato agli aiuti cinesi per la pandemia una copertura più che tripla rispetto a quella data agli aiuti degli Stati Uniti, che a loro volta si erano impegnati a fornire 100 milioni di dollari di assistenza.

La comunicazione diplomatica nei media tradizionali e nei social media: Negli ultimi anni, la politica estera di Pechino è diventata più risoluta e attiva e i diplomatici hanno utilizzato i social media come mezzo principale per trasmettere i loro messaggi. L’ambasciatore cinese in Italia dal 2019, Li Junhua, ha postato regolarmente e si è confrontato con gli utenti su Twitter, sebbene il suo account sia stato aperto solo nel dicembre 2021 e al gennaio 2022 aveva solo 4.000 follower. Anche l’ambasciata cinese a Roma e il consolato a Milano hanno pagine su Facebook e Twitter, con un seguito di 150.000 persone. Queste pagine di social media ricevono un engagement regolare da parte degli utenti, anche se non si sa quanti di essi siano account falsi. Durante il periodo di copertura, l’ambasciatore è stato in grado di raggiungere gli italiani anche attraverso un’ampia varietà di media tradizionali, tra cui uno dei più letti quotidiani italiani, Il Corriere della Sera, e l’agenzia di stampa Adnkronos.

China Radio International (CRI) e altri media statali: CRI pubblica una rivista bilingue nota come Cinitalia. La rivista ha a sua volta una propria applicazione mobile, che a maggio 2022 contava più di 10.000 download. L’applicazione è stata annunciata per la prima volta al Ministero degli Affari Esteri italiano a Roma nel settembre 2016. Poco dopo il suo lancio, nel luglio 2017, si è tenuto un evento promozionale presso l’ambasciata italiana a Pechino. Nelle prime fasi della pandemia di COVID-19, una copia stampata della rivista è stata distribuita una tantum tra i membri del Parlamento italiano. I contenuti della rivista sono diffusi anche su Il Giornale e Milano Finanza (vedi sopra).

Il corrispondente di CRI Liu Pai ha una pagina Facebook chiamata Studio Tiramisù che ha aperto nel novembre 2019. Liu si presenta come “un italiano cinese che diffonde la cultura cinese tra gli amici italiani”. Nonostante la definizione di media controllato dallo Stato cinese, la sua pagina contava mezzo milione di follower al gennaio 2022 e riceveva un engagement apparentemente genuino da parte degli utenti, anche se non è certo quanti di essi siano autentici. I video sulla sua pagina ricevevano costantemente decine di migliaia di visualizzazioni. Durante i primi mesi di COVID-19, Liu è stato anche spesso invitato ad apparire sul TGCOM24, il canale di informazione di Mediaset attivo 24 ore su 24, come commentatore della situazione in Cina. La pagina Facebook di CRI Italia aveva al gennaio 2022 circa 500.000 follower , ma riceve un engagement molto più limitato da parte degli utenti. CRI dispone anche di account YouTube e Twitter, con un numero di follower al dicembre 2021 compreso tra 2.000 e 3.000 .

Il Quotidiano del Popolo ha una versione italiana nota come Quotidiano del Popolo Online, lanciata il 1° settembre 2021. Cina in Italia, una rivista in cinese e italiano pubblicata dall’agenzia di stampa statale cinese China News Service (CNS), è in vendita nelle edicole ed è stata ampiamente distribuita negli alberghi, negli aerei e nel Parlamento italiano. La China Global Television Network (CGTN) in lingua inglese è disponibile via satellite su Tivusat, la prima piattaforma digitale satellitare gratuita in Italia, e la China Central Television (CCTV) in lingua cinese è disponibile in streaming online. Dal 2019 Xinhua ha uffici a Roma e Milano.

Influencer sui social media: Il governo cinese utilizza sempre più spesso i social media influencer per promuovere le narrazioni dello Stato cinese in modo meno ovvio presso il pubblico locale, un metodo che si è dimostrato efficace nel suscitare engagement degli utenti. Dopo l’inizio della pandemia, oltre all’aumento della presenza dei giornalisti del servizio italiano di CRI sui canali mainstream, l’italiano Ilham Mounssif, residente in Cina, è diventato attivo su Twitter e YouTube ripetendo le narrazioni cinesi, tra cui quelle sullo Xinjiang e sulla gestione del COVID-19. Nel 2020 ha ricevuto copertura dai media cinesi e italiani. Il numero dei suoi follower sui social media è basso, da poche centinaia a poche migliaia nel dicembre 2021, ma ha partecipato ad almeno 10 talk show nell’arco di una settimana nel 2020, tra cui uno trasmesso dalla Rai, e un suo video che elogiava la gestione cinese di COVID-19 è stato condiviso da Radio Deejay, un’emittente italiana con oltre un milione di follower su Instagram.

Visite stampa sovvenzionate: Le visite in Cina sponsorizzate dal governo da parte di giornalisti e politici italiani sono in genere molto scarse. La menzione di un viaggio del 2019 si trova in un resoconto inedito di una tavola rotonda a porte chiuse di giornalisti italiani ospitata dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti l’11 febbraio 2021. A seguito del Memorandum d’Intesa sulla Belt and Road Initiative del marzo 2019, il governo cinese ha invitato i giornalisti di Rai e Mediaset a girare in diverse parti del Paese, visitando varie emittenti televisive. Secondo un giornalista di Mediaset, il governo cinese ha adottato un approccio cauto, piuttosto che esigente, durante tutto il viaggio.

Prima del 2019 sono stati segnalati alcuni viaggi di giornalisti in Cina. Nel 2018, giornalisti dell’emittente pubblica Rai e di tre importanti testate giornalistiche – La Repubblica, Il Corriere della Sera e Il Giornale – si sono recati in Cina con l’obiettivo dichiarato di “esplorare nuove opportunità di cooperazione tra Italia e Cina”. Il progetto è stato organizzato da CMG, dalla sua filiale CRI (Liu Pai di CRI ha accompagnato il gruppo) e dall’Ufficio di Propaganda Esterna del PCC della provincia di Sichuan, in collaborazione con l’Istituto per la Cultura Cinese (ICC) di Roma e l’Ambasciata cinese in Italia. Il viaggio comprendeva un tour a tema sicurezza pubblica nelle aree di etnia cinese Han e tibetana.

Amplificazione da parte di figure pubbliche di sinistra: I media, i think tank e i politici di sinistra (in particolare quelli legati all’ex Partito Comunista Italiano e all’attuale Movimento Cinque Stelle) amplificano spesso i messaggi sostenuti dalla Cina che denunciano una “nuova guerra fredda” tra Cina e Stati Uniti. Tali enti e individui sostengono che i finanziamenti cinesi potrebbero aiutare Roma a sfuggire a un default sul suo massiccio accumulo di debito pubblico, mentre ripetono i discorsi di Pechino su questioni come lo Xinjiang e Hong Kong. Il 19 maggio 2021, subito dopo l’adozione da parte della Commissione Affari Esteri della Camera bassa del Parlamento italiano di una risoluzione di condanna della grave situazione dei diritti umani nello Xinjiang, il fondatore del Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo ha pubblicato sul suo blog un rapporto anonimo in inglese e in italiano intitolato “Xinjiang: capire la complessità, costruire la pace”. Il post ha respinto le accuse ben documentate fatte “nell’ultimo anno dagli Stati Uniti e dai loro principali alleati sul presunto genocidio degli uiguri in corso nello Xinjiang”. Tale versione è stata appoggiata da numerosi sostenitori, tra cui l’allora presidente della Commissione Affari Esteri del Senato, Vito Petrocelli del Movimento Cinque Stelle.

Un recente rapporto del thinktank ceco Sinopsis ha rilevato che politici di spicco, tra cui Petrocelli, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio e gli ex primi ministri Romano Prodi e Massimo D’Alema, hanno promosso le narrazioni preferite da Pechino. Durante i primi giorni della pandemia COVID-19, Di Maio, fino al 2022 rappresentante del Movimento Cinque Stelle, ha trasmesso in diretta streaming l’arrivo di squadre mediche dalla Cina. D’Alema ha dichiarato che il comunismo ha avuto “grandi meriti storici” durante il centenario del PCC nel luglio 2021. Petrocelli ha dichiarato di non credere che nello Xinjiang esistano “persecuzioni etniche” o “genocidi”, mentre Prodi si è opposto alle sanzioni sul commercio e sugli investimenti cinesi.

Anche alcuni personaggi pubblici sono stati invitati a visitare la Cina. Fabio Massimo Parenti, professore associato presso l’Università degli Affari Esteri della Cina e commentatore abituale del blog di Beppe Grillo, è stato invitato nello Xinjiang nel settembre 2019. Ha ripetuto punti di propaganda e falsità del PCC quando ha parlato della sua visita di settembre 2019 sul blog e su Omnibus, un talk show mattutino. Michele Geraci, ex sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico, è stato invitato a visitare lo Xinjiang nel maggio 2021 e successivamente ha pubblicato articoli che ripropongono le narrazioni dello Stato cinese. Geraci ha una presenza su Twitter con circa 15.000 follower al luglio 2022 e, secondo quanto riferito, invia messaggi privati agli utenti che criticano il PCC. L’influenza di alcuni di questi individui è diminuita da quando il governo Draghi è salito al potere all’inizio del 2021, ma essi rimangono prominenti nella vita pubblica italiana, soprattutto nella sinistra politica.

Campagne di disinformazione

Gli utenti italiani dei social media sono stati bersaglio di campagne di disinformazione riconducibili al governo cinese durante il periodo di copertura. Ai fini del presente rapporto, per disinformazione si intende la diffusione di contenuti falsi o fuorvianti, soprattutto attraverso attività non autentiche – come l’uso di account falsi – su piattaforme globali di social media.

Diverse indagini, tra cui quella del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica (COPASIR), hanno rilevato che il governo cinese ha amplificato narrazioni false e ingannevoli sugli aiuti COVID-19 di Pechino all’Italia. Durante la consegna di mascherine e dispositivi di protezione individuale cinesi all’Italia nel marzo 2020, la portavoce del Ministero degli Affari Esteri Hua Chunying ha pubblicato un video palesemente modificato che ritraeva in modo impreciso gli applausi della folla italiana per medici e infermieri come se il popolo italiano dicesse spontaneamente “Grazie, Cina” per l’assistenza medica. Il video è stato ripostato da altri diplomatici cinesi, tra cui il portavoce del Ministero degli Affari Esteri Zhao Lijian.

I numerosi post dell’ambasciata cinese sui social media riguardanti la consegna sono stati amplificati utilizzando l’engagement di account falsi, esagerando il grado di sostegno pubblico italiano agli aiuti cinesi. La società di ricerca e consulenza digitale Alkemy SpA ha rilevato che il 46,3% dei post su Twitter che hanno utilizzato l’hashtag dell’ambasciata #forzaCinaeItalia (“Cina e Italia forti”) sono stati pubblicati da bot, così come il 37,1% dei post con l’hashtag #grazieChina (“Grazie, Cina”). Il COPASIR ha concluso che questa attività ingannevole dei bot è stata coordinata dal governo cinese e che i bot allineati a Pechino hanno anche incrementato la disinformazione sostenendo che il COVID-19 ha avuto origine negli Stati Uniti invece che in Cina.

Non è chiaro se queste campagne di disinformazione abbiano avuto un impatto significativo sulla copertura mediatica italiana della Cina, anche se nello stesso periodo, come già detto, le trasmissioni Rai avrebbero dato agli aiuti cinesi per la pandemia una copertura sproporzionata rispetto agli aiuti di altri Paesi.

Censura e intimidazione

Nel 2022, il Foreign Correspondents’ Club of China ha rilevato che le autorità cinesi hanno rifiutato il rinnovo delle credenziali stampa ad almeno un giornalista italiano. In un fenomeno correlato, i corrispondenti stranieri in Cina, come Giovanna Botteri della Rai, hanno riferito che era difficile coprire argomenti sensibili, in particolare Hong Kong e Xinjiang, anche se Botteri non ha chiarito se stava parlando di autocensura o di vincoli esterni. Si tratta di una tendenza che risale a prima del periodo di copertura di questo studio. Nel 2017, Radio Radicale ha chiesto di aprire un ufficio a Pechino, ma gli è stato negato a causa del suo sostegno ai movimenti pro-democratici in Tibet, Hong Kong e Xinjiang.

Le pressioni esercitate sui giornalisti italiani da parte di diplomatici cinesi o di aziende con stretti legami con il PCC hanno colpito anche i giornalisti italiani. Nel 2019, il giorno prima della firma del memorandum d’intesa BRI, il portavoce dell’ambasciata cinese ha esplicitamente intimato a Giulia Pompili, giornalista del quotidiano centrista Il Foglio, di “smettere di parlare male della Cina”; altri giornalisti hanno riferito in forma anonima di simili commenti intimidatori da parte di questo portavoce. Sebbene Pompili non abbia cambiato il suo rapporto dopo l’incidente, ha detto di essere stata intimidita al punto da rifiutare di partecipare alla cerimonia di firma del memorandum d’intesa il giorno successivo. Dopo aver pubblicato un articolo che criticava Huawei in Italia nel 2019, i suoi rapporti di lavoro con l’ufficio stampa locale di Huawei, precedentemente buoni, sono stati interrotti e un portavoce di Huawei ha fatto visita al direttore de Il Foglio, anche se non ci sono state conseguenze durature.

I tagli al sostegno governativo per i media italiani, tradizionalmente dipendenti dallo Stato, hanno reso più attraenti per le testate giornalistiche gli accordi sui contenuti esteri, gli investimenti e altre opportunità, incentivando le organizzazioni giornalistiche e i giornalisti italiani ad autocensurarsi per mantenere il patrocinio e l’accesso cinese. Un giornalista ha notato che la pandemia ha messo a dura prova i rapporti tra molti reporter e l’ambasciata cinese. Il giornalista ha descritto il rapporto abituale come “opaco” e unilaterale, ma che durante la pandemia alcuni hanno avuto il “privilegio” di continuare a ricevere comunicazioni dall’ambasciata via WhatsApp, mentre altri sono stati sempre più esclusi a causa della loro percepita “cattiva informazione”. Queste circostanze e le restrizioni sui visti per i corrispondenti stranieri hanno contribuito a creare una forte sensazione che i reporter eccessivamente critici nei confronti del governo cinese rischino di vedersi negare l’accesso ai viaggi in Cina o al personale delle ambasciate.

Controllo dell’infrastruttura di distribuzione dei contenuti

Le aziende con sede in Cina non sono presenti nell’infrastruttura televisiva digitale italiana, ma altre aziende cinesi legate al PCC hanno fatto progressi nei settori dei social media e della telefonia mobile, creando una potenziale vulnerabilità a future manipolazioni.

Le app con sede in Cina sono diventate sempre più popolari nella comunicazione pubblica e, in misura minore, in quella politica. Nel febbraio 2022, TikTok, filiale globale della società di social media ByteDance con sede a Pechino, è stata l’applicazione di social media più scaricata in Italia per i dispositivi che utilizzano il sistema operativo Android.. Alcuni politici e media italiani sono stati attivi sulla piattaforma durante il periodo di copertura. Negli ultimi anni sono stati documentati alcuni casi in tutto il mondo in cui TikTok ha rimosso o sminuito contenuti politicamente sensibili, compresi quelli che violano le linee guida della censura cinese, anche se l’azienda ha successivamente comunicato di aver corretto gli errori. Un rapporto dei media del giugno 2022, basato su riunioni di TikTok trapelate, ha sollevato la preoccupazione che le dichiarazioni di ByteDance sulla privacy dei dati degli utenti statunitensi fossero false e, più in generale, ha messo in discussione altre dichiarazioni dell’azienda sulle sue politiche.

WeChat, un’applicazione di messaggistica di proprietà della società tecnologica Tencent, con sede nella RPC, che ha stretti legami con il PCC, sembra essere stata utilizzata da alcuni politici italiani. Dopo la sua nomina a sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico, nel giugno 2018, Michele Geraci avrebbe fatto installare WeChat a tutto il personale del ministero come mezzo di comunicazione. Non è chiaro come sia stata utilizzata l’applicazione e Geraci non è più al governo. Non sono disponibili dati sul numero di download di WeChat in Italia.

Le imprese cinesi hanno un ruolo limitato ma sostanziale nelle infrastrutture wireless e di telefonia cellulare italiane. All’inizio del 2022, il governo Draghi ha permesso l’utilizzo di apparecchiature di Huawei – un’azienda della RPC con stretti legami con il PCC e con un passato di costruzione di sistemi di censura e sorveglianza in Cina e all’estero -nelle reti 5G italiane, ma a “condizioni rigorose” volte a minimizzare i rischi per la sicurezza. Questo include il divieto per gli ingegneri di Huawei di avere il controllo a distanza del sistema, per il timore che la funzionalità possa essere utilizzata per interferire con le comunicazioni con il pretesto di “correggere i bug” della tecnologia. Questa autorizzazione limitata è stata concessa dopo che il governo di Giuseppe Conte, il precedente primo ministro, aveva bloccato quattro diverse transazioni 5G che avrebbero dato alle aziende cinesi accesso a sistemi di dati “core” altamente sensibili. Ciononostante, aziende cinesi come Huawei e ZTE detengono quote di mercato sostanziali nel settore delle apparecchiature di rete di quarta generazione (4G); complessivamente controllano circa il 40% del mercato. Anche i principali fornitori di contenuti per le telecomunicazioni in Italia hanno notevoli legami commerciali con aziende cinesi. Huawei ha assistito Mediaset nella sua trasformazione digitale attraverso la fornitura di dispositivi di storage e il supporto per i servizi di video delivery.

Diffusione di norme, tattiche o modelli di governance del PCC.

Enti cinesi hanno offerto corsi di formazione e viaggi a giornalisti e politici italiani, per lo più incentrati sulla promozione del punto di vista di Pechino su temi quali i diritti umani in Cina e Hong Kong. Ci sono poche prove di sforzi per promulgare norme di governance del PCC o che tali norme abbiano preso piede.

Media della diaspora cinese

I cittadini cinesi in Italia sono almeno 300.000, il che li rende il terzo gruppo più numeroso di cittadini extracomunitari nel Paese. Lo Stato cinese considera la diaspora cinese globale come un obiettivo primario da influenzare e Pechino utilizza spesso i media che si rivolgono a questa popolazione per influenzare sia i cinesi in Italia sia gli italiani in generale. Nella prima metà del 2020, l’account Twitter dell’ambasciata cinese ha condiviso messaggi privati di comuni immigrati cinesi – tra cui brevi clip e video – che esprimevano la solidarietà tra gli immigrati cinesi e il Paese ospitante; una lettera aperta agli “amici italiani” ha sottolineato la cooperazione “molto efficace” di Pechino sulle questioni relative alla pandemia.

I giornalisti della diaspora hanno partecipato a corsi di formazione ed eventi sostenuti dal PCC o dal governo cinese durante il periodo di copertura. I proprietari di media legati a Pechino hanno anche esplicitamente legato le loro missioni all’obiettivo del governo cinese di diffondere storie “positive” sui suoi successi all’estero. Sun Yunzhi (noto anche come Giulio Sun), proprietario dell’emittente radiofonica in lingua cinese Radio China FM(华夏之声), ha parlato del suo ruolo nel “consolidare i cuori dei cinesi d’oltremare e nel raccontare bene le storie cinesi” in occasione di una riunione locale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese (CPPCC), un importante organo consultivo del governo. La precedente società di media di Sun, Radio Globale, era stata identificata come una fonte di notizie locali alleata di Pechino già nel 2015. Nel 2019, la sua nuova rete radiofonica avrebbe trasmesso a più di un terzo della popolazione del Paese.

Oltre a Radio China FM di Sun, i notiziari della diaspora mostrano diversi gradi di adesione ai contenuti propagandistici. Radio Italia Cina (意大利中国电台), disponibile anche in televisione, ha pubblicato una grande quantità di materiale culturale cinese apolitico. All’altra estremità dello spettro, l’Ouhua Times/IlTempo Cina Europa (欧华联合时报) ha citato principalmente i media statali cinesi come Xinhua e CNS, amplificando le storie su quasi tutti gli argomenti preferiti da Pechino. Un’altra testata, The World and China (世界中国), si è concentrata più strettamente sulle notizie delle ambasciate e sulle storie di cooperazione economica sino-europea.

Oltre alle testate giornalistiche ufficiali, diversi account WeChat cercano di diffondere i punti di vista di Pechino alla diaspora cinese in Italia. Come la maggior parte delle altre ambasciate cinesi nel mondo, l’ambasciata in Italia(意旅阳光) utilizza la sua presenza su WeChat per promuovere le narrazioni ufficiali e gli eventi che riuniscono gruppi della diaspora locale e giornalisti. Tuttavia, con soli 13 post della prima metà del 2022, l’account dell’ambasciata di Roma è stato notevolmente meno attivo rispetto alle sue controparti in altri Paesi. Il sito di notizie CineseItalia.com (奋斗在义大利) utilizza il suo account WeChat per fornire contenuti apolitici sugli eventi di attualità in Italia, mescolando occasionalmente notizie dell’ambasciata cinese e narrazioni pro-Pechino su argomenti come la BRI. Non sono disponibili dati pubblici sulle dimensioni dell’audience di questi account.

Capacità di ripresa e risposta a livello locale

Capacità di ripresa dei mezzi di comunicazione

  • Cultura della libertà di stampa: Un ambiente sano per il giornalismo d’inchiesta si sta ancora sviluppando e l’industria dei media rimane sotto stress finanziario, ma organizzazioni come l’Investigative Reporting Project Italy e il sito web di fact-checking Pagella Politica stanno lavorando per rafforzare ulteriormente la cultura giornalistica del Paese. L’Italia ha un vivace settore di organizzazioni non governative (ONG) incentrato sulla libertà di stampa, sostenuto da numerose organizzazioni internazionali e regionali come Reporter senza frontiere e il Centro per il pluralismo dei media e la libertà dei media, sostenuto dall’UE. Nel settembre 2021, l’Università LUISS di Roma ha lanciato l’Osservatorio Italiano sui Media Digitali, un hub nazionale per combattere la disinformazione.
  • Ambiente dei media online e cartacei diversificato: Il panorama italiano dei media cartacei e online è molto vario e pluralistico. Non c’è un singolo outlet o una linea politica che domina il mercato. Sebbene le carenze di fondi e di personale di alcuni canali possano renderli particolarmente sensibili alle offerte di formazione e assistenza gratuita o sovvenzionata da parte del governo cinese, ci sono molte altre fonti tra cui i lettori possono scegliere. I media italiani si abbonano a note agenzie di stampa straniere, e testate internazionali come la statunitense Cable News Network (CNN) e la British Broadcasting Corporation (BBC) sono regolarmente consultate dal pubblico.
  • Tutela contro l’influenza straniera e politica dei media: Le leggi italiane sulla “par condicio” tentano di prevenire la partigianeria nei media fornendo un’indicazione rigorosa del tempo di trasmissione che può essere dedicato a partiti e candidati concorrenti, linee guida sulla pubblicazione dei risultati dei sondaggi, una restrizione sulle pubblicità politiche in televisione e limitazioni sulle pubblicità politiche nella stampa. Interventi governativi hanno anche cercato di stabilire standard e pratiche etiche in alcune altre aree, come l’uso delle intercettazioni telefoniche da parte dei giornalisti. Il Testo Unico dei Media Audiovisivi vieta a un singolo fornitore di contenuti di trasmettere più del 20% di tutti i programmi televisivi, indipendentemente dalla nazionalità. Anche la proprietà incrociata è limitata (gli operatori di telecomunicazioni con una certa dimensione di mercato non possono acquisire partecipazioni in società che pubblicano giornali, ad esempio), sebbene vi siano alcuni problemi di attuazione. Inoltre, per garantire la trasparenza della proprietà dei media, la normativa prevede che le emittenti, le agenzie di stampa e gli editori di quotidiani, periodici o riviste presentino le loro strutture proprietarie a un database consultabile pubblicamente.

Capacità di ripresa specifica nell’affrontare la Cina

  • Crescente attenzione dei media e della società civile sull’influenza del PCC: Sebbene la maggior parte dei principali organi di stampa non disponga di un giornalista dedicato alla Cina, spesso hanno giornalisti che si occupano di affari esteri o di notizie dall’Asia. Giulia Pompili, de Il Foglio, ha sempre riferito su questioni delicate legate alla Cina, tra cui l’influenza del PCC in Italia e altrove. La reporter freelance Ludovica Meacci si è occupata regolarmente di relazioni bilaterali sia sui media internazionali che su quelli italiani, anche se la sua attività di scrittrice su temi rilevanti è iniziata in maniera zelante nel 2021. Sono stati prodotti alcuni rapporti nazionali sull’influenza mediatica di Pechino, tra cui quelli di Formiche che hanno esaminato gli sforzi di disinformazione, la copertura preferenziale da parte dei media italiani dell’assistenza cinese COVID-19 e il rischio che i legislatori italiani amplifichino la propaganda del PCC. Il principale programma di giornalismo investigativo della Rai ha dedicato numerose puntate a questioni controverse che coinvolgono la Cina durante il periodo di copertura, tra cui l’uso di tecnologia cinese in Italia e le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. I canali italiani coprono o ripubblicano anche le inchieste di giornali e organizzazioni internazionali. I gruppi della società civile hanno dedicato una crescente attenzione agli sforzi di influenza del PCC. L’analista di think tank Lucrezia Poggetti e l’accademico dell’Università Sapienza Stefano Pelaggi hanno scritto articoli durante tutto il periodo di copertura del rapporto 2019-21 sui rischi della Belt and Road Initiative e sugli aspetti negativi dell’influenza mediatica di Pechino. Laura Harth, dell’organizzazione per i diritti umani Safeguard Defenders, è stata un’altra voce di spicco che ha invocato cautela nell’approfondire l’impegno con la Cina e nel richiamare l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani che si verificano in Cina. Negli ultimi anni, think tank affermati come il Torino World Affairs Institute (TWAI) e l’Istituto Affari Internazionali (IAI) hanno iniziato a dedicare più tempo e risorse alla ricerca sulla Cina e sull’influenza cinese. Dal 2020 al 2021, lo IAI ha ospitato un progetto sullo sviluppo degli accordi Belt and Road Initiative in Italia. Nell’ottobre 2021, gli analisti dello IAI hanno pubblicato un rapporto che analizza gli accordi bilaterali di cooperazione con i media. Nel dicembre 2021, un Sinopsis ha collaborato con ricercatori italiani per pubblicare un articolo sull’influenza del PCC nella politica italiana.
  • Cessazione della cooperazione con i media: Gli accordi di cooperazione tra i media statali cinesi e le aziende giornalistiche italiane sono stati apparentemente sciolti negli ultimi anni. L’accordo di condivisione dei contenuti di CMG con un’emittente Mediaset è saltato dopo che quest’ultima ha pubblicato un contenuto sulla teoria secondo cui il COVID-19 sarebbe trapelato da un laboratorio cinese. L’accordo di condivisione dei contenuti che AGI avrebbe stipulato con Xinhua non sembra aver portato alla condivisione di alcun contenuto. Nell’agosto del 2022, è stato riferito che l’ANSA aveva in silenzio rescisso il suo accordo con Xinhua due mesi prima.
  • Diversità delle fonti utilizzate per la copertura della Cina: L’Italia aveva diversi corrispondenti stranieri in Cina durante il periodo di copertura, il che significa che c’era una certa capacità di accedere a notizie indipendenti sulla Cina. Nel complesso, il giornalismo italiano dipende fortemente dalle fonti estere per le notizie internazionali. I contenuti e le narrazioni di fonti internazionali come il New York Times e la Reuters sono spesso ripubblicati da testate italiane, comprese quelle – come l’ANSA, Il Giornale e Il Sole 24 Ore – che avevano accordi di condivisione dei contenuti con i media di Stato cinesi. Di conseguenza, le opinioni favorevoli a Pechino non dominano le notizie e i commenti sulla Cina. Inoltre, data la natura relativamente interna dei media italiani, la Cina viene presentata meno frequentemente in televisione e alla radio che sulla stampa, il che significa che i contenuti dei media statali cinesi non raggiungono ampie fasce della popolazione, diminuendo la loro potenziale influenza.
  • Spinta politica: Nel 2021, i legislatori italiani hanno iniziato a condannare distintamente le violazioni dei diritti umani da parte del governo cinese nello Xinjiang, anche se c’era ancora riluttanza a usare l’etichetta di “genocidio”. Nel gennaio 2021, dopo che l’allora primo ministro Giuseppe Conte aveva fatto commenti che promuovevano relazioni più forti tra Italia e Cina, la Lega ha chiesto a Conte di scusarsi con gli italiani e con le “vittime del virus di Wuhan”. Anche Giorgia Meloni, del partito conservatore Fratelli d’Italia, ha criticato i commenti: “La Cina approfitta della nostra debolezza per attaccare l’economia italiana e non solo. Sei venuto qui per esaltarla e dovresti vergognarti”. Antonio Tajani, del partito politico di centrodestra Forza Italia, si è detto “preoccupato per l’attenzione di Conte alla Cina”. Queste spinte politiche hanno portato a conseguenze concrete: L’Italia ha adottato misure per bloccare gli sforzi di influenza cinese e di altri Paesi stranieri, tra cui la richiesta di sottoporre un maggior numero di settori allo screening degli investimenti strategici, il rifiuto dell’investimento cinese in un’azienda di semiconduttori nel 2021 e la limitazione della presenza di aziende cinesi di telecomunicazioni come Huawei. Nel gennaio 2021, il COPASIR ha annunciato l’avvio di una nuova indagine per valutare l’esposizione dell’Italia all’interferenza di attori esterni in settori economici di interesse nazionale.

Vulnerabilità

  • Media concentrati e politicizzati: Nonostante la diminuzione dell’influenza partitica negli ultimi anni, i media italiani sono spesso strettamente legati ai partiti politici. Il mercato televisivo è altamente concentrato, con tre operatori dominanti: il gruppo Sky, di proprietà del magnate mondiale dei media Rupert Murdoch, il gruppo Mediaset, controllato dalla famiglia Berlusconi, e la Rai, di proprietà statale. Tali potenti gruppi hanno talvolta usato il loro vasto pubblico per influenzare i risultati politici, in particolare quando Silvio Berlusconi ha sfruttato il suo impero mediatico per sostenere i suoi tre mandati come primo ministro e poi per perseguire una candidatura alla presidenza italiana. Sebbene l’establishment politico italiano abbia sviluppato una maggiore resistenza alle interferenze cinesi sugli interessi strategici dell’Italia, è ancora suscettibile all’influenza del PCC, come dimostra il trattamento preferenziale accordato all’assistenza cinese COVID-19 in televisione (vedi Propaganda).
  • Mancanza di autoregolamentazione dei media: Le scuole di giornalismo e gli organi di autoregolamentazione dei settori della stampa e della radiotelevisione possono svolgere un ruolo importante nella definizione di standard che scoraggino la diffusione di notizie distorte su questioni legate alla Cina. Gli autoregolatori offrono a chi fa rimostranze una sede specifica per chiedere la correzione di storie ingiuste o imprecise. In Italia non esistono organismi di autoregolamentazione per i media. Inoltre, il livello di professionalità dei media è considerato basso, nonostante tutti i giornalisti debbano sostenere un esame professionale e corsi di formazione annuali.
  • Libertà di stampa sotto attacco: I giornalisti italiani devono affrontare una serie crescente di minacce economiche, politiche e persino fisiche alla loro indipendenza. Nel 2022, Reporter senza frontiere ha classificato l’Italia come il peggior Paese dell’Europa occidentale per la libertà di stampa. Una serie di fattori incoraggia l’autocensura. La diffamazione può ancora essere punita come reato penale e le figure pubbliche spesso lanciano cause strategiche contro la partecipazione pubblica (SLAPP) per mettere a tacere le notizie scomode. Le campagne di vessazione da parte di gruppi politici polarizzati e le minacce fisiche da parte di organizzazioni criminali possono rendere pericolosa la denuncia. La dipendenza dei media dagli introiti pubblicitari e dai sussidi governativi rende ancora più difficile per i giornalisti assumersi rischi che potrebbero portare politici e aziende ad avviare costose azioni legali o a tagliare le principali fonti di finanziamento. Con alcune eccezioni, i media italiani tendono a dedicare poca attenzione al giornalismo d’inchiesta.
  • Lacune nelle competenze in lingua cinese e nella penetrazione delle competenze sulla Cina nei media tradizionali: Esistono alcune competenze italiane indipendenti sulla Cina e sulle sue relazioni con l’Italia, ma sembrano essere in gran parte confinate all’interno dei circoli accademici e dei think tank. Tali esperti non sono spesso ricercati dai giornalisti o citati negli articoli di cronaca. Gli esperti con competenze linguistiche in cinese sono particolarmente rari nei media italiani mainstream.

Impatto e opinione pubblica

L’atteggiamento dell’opinione pubblica italiana nei confronti della Cina è complesso e mutevole, e l’influenza mediatica di Pechino nel Paese ha prodotto risultati a dir poco contrastanti. Gli italiani considerano la Cina un partner economico cruciale che deve essere coinvolto e non alienato, ma non sostengono tutte le politiche di Pechino e, nonostante una breve virata verso la Cina nei primi giorni della pandemia COVID-19, l’Italia continua in generale a favorire i suoi tradizionali alleati democratici e i loro valori e interessi condivisi.

Nel 2014, prima del forte aumento degli investimenti cinesi in Italia, il 70% degli italiani aveva un’opinione fortemente negativa della Cina. Gradualmente, l’impegno di Pechino, insieme al crescente scetticismo nei confronti dell’UE, ha prodotto una percezione più positiva della Cina, anche se ancora contestata. Nel 2019, un sondaggio dell’Istituto Demopolis ha rilevato che il 51% degli italiani era favorevole alla firma del memorandum Belt and Road Initiative e al rafforzamento dei legami economici con la Cina, con il sostegno di almeno il 30% dei membri di tutti e quattro i principali partiti politici italiani, compresa la maggioranza del Movimento Cinque Stelle e della Lega, entrambi facenti parte della coalizione del governo Draghi. Tuttavia, il 54% degli italiani sosteneva che il rafforzamento dei legami economici con la Cina non doveva andare a scapito delle relazioni dell’Italia con l’Europa e gli Stati Uniti.

L’aiuto e la diplomazia pubblica della Cina all’inizio della crisi COVID-19 dell’Italia all’inizio del 2020, quando i tradizionali alleati dell’Italia in Occidente sembravano inizialmente riluttanti o incapaci di sostenere l’Italia, hanno fatto apparire la Cina ancora più attraente, relativamente. A maggio 2020, un sondaggio dello IAI e dell’Università di Siena ha rilevato che mentre il 79% degli italiani riteneva che la Cina fosse responsabile della pandemia, il 63% vedeva la gestione di Pechino come un modello da seguire. Inoltre, il 77% considerava gli aiuti cinesi per la pandemia come “una forma genuina di solidarietà”, anche se, come riteneva il 52% degli italiani, gli aiuti di Pechino erano almeno in parte motivati dal desiderio di ottenere un’influenza politica. Il 79% degli italiani, invece, considerava il sostegno dell’UE inadeguato alla crisi e il 73% vedeva la democrazia liberale incapace di affrontare la sfida della pandemia. Un sondaggio separato condotto nell’aprile 2020 mostrava che un numero maggiore di italiani era favorevole allo sviluppo di relazioni più strette con la Cina (36%) rispetto a quello che dava la priorità agli Stati Uniti (30%), suggerendo che Pechino si era efficacemente presentata come un partner internazionale migliore.

Tuttavia, più tardi nel 2020, un sondaggio condotto dall’Istituto Centro Europeo di Studi Asiatici (CEIAS) rivelava che un numero maggiore di italiani aveva un’opinione negativa o molto negativa della Cina rispetto a quelli che avevano un’opinione positiva o molto positiva- e un numero maggiore aveva indurito le proprie opinioni contro la Cina negli ultimi tre anni rispetto a quelli che avevano un’opinione più positiva. Meno del 20% degli italiani si fidava del governo cinese, rispetto al 35% circa che si fidava degli Stati Uniti e al 40% che si fidava dell’UE. Alla richiesta di classificare i propri sentimenti verso 13 paesi, gli italiani collocavano la Cina al quartultimo posto, sopra Vietnam, Israele e Corea del Nord. Questi sentimenti negativi sono più forti nei partiti nazionalisti di destra come la Lega e Fratelli d’Italia, contribuendo a spiegare la veemente opposizione del leader della Lega Matteo Salvini all’accordo BRI. Tra il 2018 e il 2020, un sondaggio condotto tra gli esperti italiani di politica estera ha registrato un balzo di 20 punti nella percentuale di intervistati che vedevano nella Cina la maggiore minaccia globale.

Mentre la percezione italiana della Cina era complessivamente negativa al 2020, in particolare per quanto riguarda la potenza militare, l’impatto ambientale e l’influenza della Cina sulle democrazie di altri Paesi, gli italiani continuava ad avere una visione leggermente positiva della Belt and Road Initiative e, più in generale, del commercio e degli investimenti cinesi. Circa il 68% degli italiani riteneva che la Cina fosse almeno in qualche modo importante per lo sviluppo economico dell’Italia e circa il 65% era favorevole alla promozione del commercio e degli investimenti con la Cina. Forse grazie a questi rapporti economici e di aiuto, gli italiani erano generalmente favorevoli alla cooperazione con la Cina nel 2020: circa l’80% degli intervistati affermava che “la cooperazione [con la Cina] su questioni globali come il cambiamento climatico, le epidemie e l’antiterrorismo” dovesse essere una priorità per la politica estera italiana, e il 48% era almeno in parte d’accordo sul fatto che l’Italia dovesse cooperare di più con la Cina in generale.

Alla fine del 2021, solo il 23% degli italiani considerava la Cina un “alleato dell’Italia nel mondo”, in calo rispetto al 36% del 2020. Invece, oltre un terzo degli italiani identificava la Cina come la più grande minaccia per il mondo, con un aumento di oltre quattro volte rispetto al 2018. Circa il 28% degli italiani riteneva che l’Europa dovesse schierarsi con gli Stati Uniti rispetto alla Cina in caso di “nuova guerra fredda”, mentre solo l’8% era favorevole alla Cina e il 64% era contrario a schierarsi.

Traiettoria futura

Di seguito sono riportati i potenziali sviluppi relativi all’influenza mediatica di Pechino in Italia da monitorarsi attentamente nei prossimi anni.

  • Aumento della presenza dello Stato cinese sulle piattaforme dei social media: Il regime cinese sembra pronto a intensificare i suoi sforzi di influenza occulta in Italia attraverso un maggiore uso di influencer e disinformazione sui social media. Le iniziative nazionali per contrastare tali campagne potrebbero non fare in tempo, il che potrebbe consentire agli organi di Stato cinesi di stabilire una presenza duratura sui social media.
  • Impatto a lungo termine delle partnership sui contenuti: Non è ancora chiaro se i vari accordi di cooperazione tra i media statali cinesi e le loro controparti private e pubbliche italiane si tradurranno in una maggiore condivisione di contenuti o se si ridurranno lentamente, come nel caso dell’accordo ANSA-Xinhua del giugno 2022. I problemi finanziari dell’industria mediatica italiana, esacerbati dal COVID-19, compresi i gravi tagli ai finanziamenti, potrebbero offrire maggiori opportunità di influenza ai media statali cinesi. Dopo la rescissione dell’accordo con l’ANSA, un’agenzia di stampa minore avrebbe avviato un accordo di condivisione di contenuti con Xinhua, indicando che altre agenzie di stampa italiane con scarse risorse potrebbero essere disposte a riempire la loro copertura con contenuti sostenuti da Pechino.Allo stesso tempo, i politici potrebbero dedicare maggiore attenzione ai media come “settore strategico” e contrastare efficacemente tali vulnerabilità.
  • Crescita della copertura degli sforzi di influenza cinese: A partire dal 2022, la copertura della disinformazione, della censura e della propaganda legate alla Cina è cresciuta in modo significativo nei media tradizionali italiani, grazie a indagini giornalistiche e della società civile. Questa maggiore consapevolezza potrebbe tradursi in una pressione per ottenere risposte politiche.
  • Cambiamenti nell’atteggiamento dell’opinione pubblica in vista delle elezioni nazionali: L’atteggiamento dell’opinione pubblica italiana nei confronti di Pechino può essere influenzato da una serie di fattori, tra cui l’attenuazione della pandemia COVID-19 e le imminenti elezioni nazionali. L’esito di queste elezioni determinerà a sua volta se ci sarà lo slancio per una revisione del Memorandum d’Intesa sulla Belt and Road Initiative del 2019. Un ruolo maggiore per i partiti di destra come la Lega, Forza Italia o Fratelli d’Italia aumenterebbe probabilmente la distanza diplomatica ed economica dell’Italia dalla Cina, mentre una quota maggiore di voti per il Movimento Cinque Stelle potrebbe aprire nuove strade per l’influenza del PCC.

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