Settant’anni fa il valtellinese Achille Compagnoni e il cortinese Lino Lacedelli mettevano per primi piede sulla seconda montagna del pianeta
Un passaggio-chiave nella storia dell’alpinismo, una pagina carica di coraggio, prestigio e anche contraddizione per la nostra storia nazionale. Il settantesimo anniversario della prima assoluta della spedizione italiana sul K2 il 31 luglio del 1954 riporta alla memoria un successo “sportivo” che non si può (e non è mai stato possibile, nel bene e nel male) isolare dal suo contesto storico e culturale. È proprio questa la premessa della produzione originale a cura di Sport Mediaset “K2 – la Gloria e il Segreto”, in onda questa sera alle 21.05 su Focus (canale 35). Fare memoria dell’impresa sulla seconda vetta del pianeta significa incamminarsi lungo una via ricca di… appigli e di richiami extrasportivi che fanno parte della nostra storia nazionale. Inquadrare l’exploit alpinistico nel contesto storico dell’epoca è la chiave per metterlo nella giusta luce e tributare riconoscenza e ammirazione per i protagonisti dell’impresa.
L’ITALIA DEL 1954
Nel 1954, l’Italia ha 48 milioni di abitanti e ogni anno si registrano circa 900mila nascite. La famiglia media è composta da quattro elementi. Degli oltre 440mila deceduti, il 12% ha perso la vita entro il quarto anno d’età. L’aspettativa di vita alla nascita, che oggi è tra gli 81 anni (per i maschi) e gli 85 anni (per le femmine), superava di poco i 46 anni. Il 13% degli italiani è completamente analfabeta (era il 78% un secolo prima). L’’8% risulta iscritto alle “liste dei poveri” nei vari comuni e, da un’indagine campionaria, risulta che l’8% delle famiglie durante l’anno non consuma mai carne; il 5% vive in appartamenti sovraffollati (4 persone per stanza) e il 3% in abitazioni improprie, come soffitte e cantine.
Si stima che quasi tre milioni di famiglie vivano in condizioni misere o disagiate e, se la condizione di miseria riguarda l’1.5% di quelle settentrionali, al Sud e nelle Isole lo stato di miseria arriva al 28%. Solo otto case su cento hanno gli allacciamenti alla luce e all’acqua corrente. Il reddito medio annuo è di 350 mila lire (raddoppierà in 10 anni). Quando nel 1957 esce la FIAT 500, il suo costo è pari a 490 mila lire, circa 13 stipendi di un operaio. Nel corso del 1954 espatriano oltre 250mila italiani, contro poco più di 100mila rientri. Il 42% della popolazione attiva è impegnata nel settore agricolo, contro il 32% impiegata nell’industria.
Dal punto di vista economico, i primi anni Cinquanta segnano l’avvio del Boom. Tra il 1949 e il 1963 triplicano sia la produzione industriale, sia il valore delle esportazioni. Dal 1953, per effetto dei benefici del Piano Marshall e con l’impegno della Fiat di Valletta e della Pirelli di Leopoldo, a beneficio della produzione agricola prende il via il processo di motorizzazione del Paese. Nel 1958 viene aperto il primo tratto dell’Autostrada del Sole. Tra il 1958 e il 1963 un milione di cittadini si sposteranno a vivere dal Sud al Nord d’Italia.
K2 – L’IMPATTO DELL’EVENTO NEL 54 E NEGLI ANNI SEGUENTI
“Hanno vinto! Da parecchi anni gli Italiani non avevano avuto una notizia così bella. Anche chi non si era mai interessato d’alpinismo, anche chi non aveva mai visto una montagna, perfino chi aveva dimenticato che cosa sia l’amor di patria, tutti noi, al lieto annuncio, abbiamo sentito qualche cosa a cui si era persa l’abitudine, una commozione, un palpito, una contentezza disinteressata e pura. E con la fantasia abbiamo cercato di vedere i due vittoriosi sul pinnacolo ultimo del colosso diecimila volte più grande di loro. E i compagni appollaiati sugli spalti della ciclopica parete, simbolo minuscolo di un esercito schierato in profondità per la battaglia decisiva: tutti bravissimi, tutti degni di essere citati all’ordine del giorno del Paese. “Gloria”, “trionfo” sono le parole che gli Inglesi, per cui l’antiretorica è legge nazionale, hanno adoperato senza risparmio l’anno scorso quando venne vinto l’Everest. Perché oggi non dovremmo usarle noi?”. (Dino Buzzati – Domenica del Corriere, 15 agosto 1954)
Al loro ritorno a Genova, gli alpinisti della spedizione sono attesi da 40mila persone. Le aziende che nelle pubblicità legheranno i propri prodotti alla spedizione al K2, su giornali e affissioni, saranno tantissime, così come decine saranno gli alberghi, le gelaterie e locali che ne prenderanno il nome. Nel 1955 viene presentato a Luigi Einaudi, e poi distribuito nelle sale e nelle scuole, Italia K2, il docufilm che ricostruisce preparazione, svolgimento e conclusione della spedizione, con il ritorno in Italia. La neonata Rai si interessa immediatamente ai membri della spedizione e nel 1955 Walter Bonatti viene ospitato nel programma Orizzonti, dove racconta del suo terribile bivacco notturno.
Per il venticinquesimo anniversario (1979) e per il trentesimo nel 1984, la Rai sceglie la linea istituzionale e celebra l’impresa invitando Compagnoni, Lacedelli e Desio. Dopo la morte di del capospedizione (nel 2001) ha inizio la campagna di “riabilitazione” di Bonatti, o meglio del suo punto di vista e delle legittime rivendicazioni dei suoi meriti nel successo alpinistico. Le celebrazioni del 2004 (per il mezzo secolo del K2 “italiano”) vedono Lacedelli riconoscere a Bonatti l’importanza dell’apporto alla conquista della vetta. Scomparso anche Bonatti (13 settembre 2011), la spedizione scientifica per i sessant’anni della conquista scivola nel totale disinteresse, nonostante gli italiani aprano e attrezzino in questa occasione la via a un gruppo di giovani alpinisti pakistani, che salgono in vetta e ribadiscono il legame tra le due nazioni.
K2 – ALPINISMO PER NAZIONI
Il 3 giugno 1950 i francesi Herzog e Lachenal sono i primi ad arrivare in vetta a un Ottomila: l’Annapurna. La notizia riscuote una eco mondiale, diventando elemento di propaganda per il governo francese. Questo clamore riporta l’attenzione delle istituzioni italiane su un progetto di Desio risalente al 1937 e sottoposto al CAI nel 1939: conquistare la vetta del K2. Le nazioni più potenti della Terra si sfidano… in terreno neutro sulle montagne asiatiche di Pakistan, Nepal, India e Tibet. Il Nanga Parbat diventa la “montagna del destino” della Germania, l’Everest è l’oggetto del desiderio del prestigioso Alpine Club inglese (“cadrà” un anno e due mesi prima del K2), gli Stati Uniti attaccano senza il successo lo stesso K2 fino a solo un anno prima del successo italiano sulla montagna che Luigi Amedeo di Savoia Duca degli Abruzzi aveva iniziato ad esplorare all’inizio del XXesimo Secolo e che per una sorta di eredità culturale era… in cima ai pensieri degli alpinisti di casa nostra, cosiccome della classe politica.
K2 – IL PROGETTO DESIO
Oltre a essere il decennio delle grandi traversate italiane in idrovolante (di Italo Balbo) e della mitizzazione delle imprese sportive ed esplorative dello stesso Duca degli Abruzzi (giunto al K2 nel 1909), gli anni Trenta vedono affermarsi un turismo legato alla montagna, sulla scorta dell’apertura dei sacrari dedicati alla Prima guerra mondiale, dell’attivismo del CAI e dell’associazionismo cattolico. Desio preme fin dal 1948 sul CAI e sul CONI per organizzare il tentativo sul K2 e a fine 1952 riceve dal Comitato Olimpico Nazionale i finanziamenti per una missione esplorativa da compiere nel 1953. Nel frattempo però Desio si era recato di propria iniziativa a Karachi, dove aveva inoltrato domanda per una spedizione scientifica da realizzarsi nel 1953 e per una spedizione alpinistica l’anno seguente.
Il fallimento della spedizione americana del ‘53 riapre per gli italiani la possibilità di essere i primi a compiere l’impresa. L’interessamento personale di Alcide De Gasperi, i buoni uffici della diplomazia italiana in Pakistan e l’iniziativa dello stesso Desio (che offre un’importante consulenza glaciologica al governo pakistano nel 1953) spalancano all’Italia la via del K2 in assoluta esclusiva. Analoghe richieste da parte di altri Paesi vengono rigettate. Il 27 luglio 1953, una lettera personale del primo ministro pakistano Alì al presidente del consiglio De Gasperi conferma il via libera alla spedizione: Desio può muoversi ufficialmente.
K2 – LA PREPARAZIONE DELL’IMPRESA
Responsabile unico della spedizione, geologo e paleontologo, Ardito Desio (classe 1897, friulano di Palmanova) è un autorevole accademico italiano innamorato dell’Asia e attivo in Africa durante il Ventennio. Per carattere, formazione e ruolo rivestito, Desio è una persona autoritaria. Esige la massima obbedienza e considera la conquista del K2 come un “affare di Stato”, da affrontare con rigore e mentalità militari.
L’onore dell’Italia, dopo la sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, la guerra civile e le umiliazioni del Dopoguerra, è riposto (anche) nella riuscita di questa impresa. A livello politico, tutti sanno che un successo diventerebbe il simbolo di rinascita del Paese, nonché la conferma delle straordinarie qualità morali del nostro popolo, non fiaccate dal regime fascista né dalla sua sconfitta politica e militare. Già poche settimane prima della partenza, la spedizione diventa un “caso”, suscitando entusiasmi e polemiche. Le tensioni proseguiranno anche al rientro in patria, nonostante il successo alpinistico. Il K2, a tutti gli effetti “la montagna degli italiani”, continuerà a essere fonte di controversie fino al 2004, confermandosi anche in questo un simbolo dell’identità nazionale.
Tra 1948 e 1952, Desio aveva già sondato a titolo personale sia alcune aziende aeronautiche americane, sia l’Aeronautica Militare italiana per capire se fosse possibile utilizzare elicotteri o aerei per trasportare i materiali di un’eventuale spedizione alpinistica da Skardu fino al campo base del K2, per poi paracadutarveli sopra. Constatata l’impossibilità tecnica dell’operazione, Desio si rassegna al trasferimento tradizionale via terra. Nel dicembre 1953 completa quindi il piano economico e organizzativo, cui raccomanda a tutti di attenersi strettamente, esponendo categoricamente la propria filosofia:
“L’organizzazione della spedizione deve avere un’impostazione di tipo militare, nel senso però noto a chi ha trascorso qualche tempo della sua vita – specialmente in tempo di guerra – nelle nostre truppe alpine. Disciplina assoluta suggerita a ciascuno dalla comprensione delle necessità superiori rivolte al raggiungimento della meta finale, la conquista del K2 (…) Ognuno deve saper sacrificare tutto per gli altri e tutti devono essere disposti a sacrificarsi per uno, tenendo presente che dalla completa dedizione alle esigenze della spedizione può in sommo grado dipendere la riuscita dell’impresa”.
Desio parte dall’analisi dei dati meteorologici e stabilisce che la finestra in cui è più probabile trovare il bel tempo, necessario per “attaccare la vetta”, è la prima metà di luglio. I preparativi e la selezione dei membri della spedizione devono essere completati tra la metà di dicembre 1953 e la fine di marzo 1954. Il trasferimento di uomini e materiali (per 16 tonnellate) avverrà via mare (il 31 marzo, da Genova), poi per via aerea e infine, con 500 portatori, via terra. L’acclimatamento sotto i 6.500 m di quota e la prova dei materiali dovranno avvenire tra aprile e metà giugno, mentre le cordate d’attacco si muoveranno tra la metà di giugno e la metà di luglio. Per nessun motivo si dovrà andare oltre agosto (il 10 agosto è già previsto quello che Desio definisce “ripiegamento”).
Alla missione alpinistica si affiancherà una missione scientifica, affidata a una “squadra parallela” composta da geologi, botanici, zoologi, etnologi, geografi e cartografi. All’obiettivo scientifico Desio non rinuncia, nonostante le perplessità manifestategli dal CAI. Gli scienziati, a differenza degli alpinisti, resteranno sempre sotto quota 4000 metri e avranno modo di trattenersi nel Karakorum fino a settembre. Costo stimato per l’intera operazione: tra gli 80 e i 100 milioni di lire (pari a 1250 milioni di euro attuali). Desio predispone tabelle non solo giornaliere, ma anche orarie. Fissa regole per l’igiene personale e l’alimentazione (non solo i cibi da evitare, ma anche le quantità cui attenersi per non appesantirsi e soffrire il mal di montagna). Le consulenze ricevute da medici esperti e gli studi americani cui ha avuto accesso, lo convincono a prolungare l’acclimatamento per un paio di mesi e sempre sotto i 6500 metri di quota, così da evitare il mal di montagna e abituare gli alpinisti a consumare il meno possibile l’ossigeno delle bombole. La definizione dei ruoli, i campi fissati a poche centinaia di metri di quota l’uno dall’altro, il sistema con cui le diverse squadre dovranno fissare le corde e portare i materiali ai campi avanzati sono aspetti che Desio dettaglia fin dal dicembre del ‘53.
La selezione degli alpinisti che parteciperanno alla spedizione si basa su tre parametri: la salute fisica (in particolare, la resistenza alla permanenza in alta quota), l’equilibrio psicologico (inteso anche come abitudine a non discutere gli ordini e buon carattere, ottimismo, morale sempre alto) e – da ultime – le capacità tecniche. Desio non vuole “prime donne” ed evita accuratamente i “bastian contrari” e chi, per natura, è abituato a discutere gli ordini. Non accetta candidati sotto i 27 anni (unica eccezione Bonatti) né sopra i 47. Ritiene ottimale, per chi dovrà arrivare in vetta, la “finestra” tra i 28 e i 38 anni.
Due campi invernali in alta quota sul Piccolo Cervino e sul Monte Rosa (fissati nei primi due mesi del 1954) permetteranno di completare la selezione (a partire dai 24 elementi che avranno superato le visite mediche preliminari), iniziare a collaudare i materiali e le tecniche di trasporto previste e fare gruppo, cementando le relazioni tra i vari componenti della spedizione.
Desio ha anche previsto e ottenuto dal CAI e dalle altre istituzioni coinvolte il massimo riserbo sulla spedizione. Il suo obiettivo è di descriverla solo a cose fatte, e solo in caso di successo. La caduta del governo De Gasperi dopo il varo della contestatissima “Legge Truffa” e la sconfitta della DC alle elezioni politiche, fa sì che nell’autunno del 1953 i finanziamenti alla spedizione diventino un po’ meno certi. Ciò costringe Desio a cambiare strategia, dando alla missione la massima pubblicità, attraverso una conferenza stampa tenuta al Piccolo Teatro di Milano il 12 febbraio 1954: occasione in cui verrà lanciata una pubblica sottoscrizione per trovare finanziamenti privati.
La partecipazione popolare, anche a livello economico, sarà vasta. Al tempo stesso la pubblicità data alla spedizione moltiplicherà le polemiche sui criteri e i risultati della selezione. Grande scalpore, in particolare, sarà generato dall’esclusione di Riccardo Cassin – allora 45enne, nel pieno del vigore e dotato di grande tecnica – per “motivi di salute”(un sospetto soffio al cuore, poi rivelatosi inesistente), oltre che di Gigi Panei e Cesare Maestri. Quest’ultimo, allora 25enne, era tra i migliori arrampicatori al mondo ma – si diceva – “in odore di comunismo” e con una sospetta e mai confermata ulcera gastrica, oltre che “troppo giovane” per i criteri fissati da Desio.
K2 – IL TEAM E L’ATTREZZATURA
Il massiccio del Karakorum («Ghiaia Nera» nella lingua turca) è una sub-catena montuosa a nord-ovest dell’Himalaya. La depressione del fiume Indo separa le due catene. Il Karakorum, dopo le calotte polari, è l’area con più ghiacciai al mondo. Inoltre, ospita quattro dei quattordici Ottomila della Terra.
Eric Abram (1922-2017):
pur senza essere molto noto al grande pubblico, presenta un ampio curriculum di salite di sesto grado nelle Dolomiti
Ugo Angelino (1923-2016):
rappresentante di commercio, ha svolto la maggior parte della propria attività alpinistica nelle Alpi Occidentali
Walter Bonatti (1930-2011):
con i suoi 24 anni è il più giovane e, nonostante questo, è già considerato tra i più forti alpinisti del mondo
Achille Compagnoni (1914-2009):
guida alpina e maestro di sci, con attività alpinistica soprattutto sul Monte Rosa e sul Cervino; giungerà in vetta al K2 il 31 luglio 1954
Mario Fantin (1921-1980):
fotografo e cineoperatore, è conosciuto per le riprese fotografiche e cinematografiche in ambito alpinistico.
Cirillo Floreanini (1924-2003):
ha compiuto notevoli imprese alpinistiche nelle Alpi Giulie; di professione è disegnatore
Pino Gallotti (1918-2008):
ingegnere, viene designato a responsabile del materiale tecnico della spedizione, fra cui le bombole d’ossigeno; suo anche il compito di redigere il diario della spedizione; alpinisticamente ha una notevole esperienza nelle Alpi Occidentali e in particolare sul Monte Bianco
Lino Lacedelli (1925-2009):
guida alpina e maestro di sci, membro degli Scoiattoli di Cortina, ha già compiuto diverse salite estreme sulle Dolomiti, ma ha esperienza anche delle Alpi Occidentali; giungerà in vetta al K2 il 31 luglio 1954
Guido Pagani (1917-1988):
medico e alpinista di discreto livello, viene selezionato come medico della spedizione
Mario Puchoz (1918-1954):
guida alpina, svolge la maggior parte della propria attività sul Monte Bianco. Morirà per edema polmonare nelle fasi iniziali della scalata.
Ubaldo Rey (1923-1990):
guida alpina e rifugista, con notevole esperienza sul Monte Bianco e nelle Alpi Occidentali in genere
Gino Soldà (1907-1999):
è il più anziano del gruppo (47 anni), con notevole esperienza nel sesto grado sulle Dolomiti
Sergio Viotto (1928-1964):
guida alpina e falegname, ha all’attivo tutte le grandi classiche del Monte Bianco.
A loro e a Desio si aggiungono dodici membri pakistani (tra cui dieci portatori) e cinque ricercatori italiani che compongono l’équipe scientifica.
Le “radio portatili” che durante l’ascesa garantivano i collegamenti tra i vari Campi e il Campo base pesavano 2 Kg l’una. Mancavano del tutto strumenti barometrici efficaci a quelle quote, per cui la lettura della situazione meteorogica ai campi alti era affidata unicamente all’esperienza e alla sensibilità dei singoli alpinisti. Gran parte delle informazioni topografiche si basavano sui pochi rilievi fotografici realizzati fino a quel momento (preziosi, sia quelli del duca d’Aosta, del 1909, sia quelli del tentativo americano del 1953). I tessuti degli abiti non garantivano protezione durante le tempeste di neve e i repentini crolli delle temperature, esponendo gli arti a principi di congelamento. Il basto, completo di bombole d’ossigeno, pesava circa 20 Kg. L’autonomia di una bombola (integra) poteva arrivare (con una respirazione ben dosata) al massimo fino a 10/12 ore d’ossigeno.
K2 – LE TAPPE
Maggio-Giugno: trasporto dei materiali da Skardu, collaudo attrezzature, predisposizione delle corde fisse e allestimento dei primi campi (in totale saranno nove, più un bivacco di fortuna)
21 giugno: muore Mario Puchoz, presumibilmente per edema polmonare
18 luglio: Bonatti-Lacedelli e Compagnoni-Rey finiscono di attrezzare la difficilissima “Piramide Nera”
25 luglio: attrezzato il Campo 7 (a quota 7.345 m)
28 luglio: Abram, Compagnoni, Gallotti, Lacedelli e Rey partono per fissare il Campo 8, mentre Bonatti, che ha problemi gastrici, resta al Campo 7. Rey (che avrebbe dovuto salire in vetta con Compagnoni) si sente male e abbandona, Gallotti mentre ridiscende al Campo 7 scivola e rischia di morire, Lacedelli è incaricato da Desio di affiancare Compagnoni nell’assalto finale alla vetta
29 luglio: Compagnoni e Lacedelli non riescono a fissare il Campo 9 alla quota prevista; sono distrutti dalla fatica; Bonatti (ristabilito) e Gallotti fanno la spola tra Campo 7 e Campo 8 per portare materiale e bombole d’ossigeno utili all’assalto finale (intanto, anche Abram deve abbandonare); viene concordato che il giorno successivo Compagnoni e Lacedelli fisseranno il Campo 9 a quota 7.900 m. per permettere il trasporto delle bombole d’ossigeno dal Campo 7 a quota 7.400 m.
30 luglio: Compagnoni e Lacedelli fissano il Campo 9 più in alto di quanto concordato; quando Bonatti e il portatore Mahdi giungono con le bombole (al calar del sole) non trovano le tende, ma individuano il luogo in cui sono i compagni, riuscendo anche a comunicare a voce con Lacedelli; Mahdi non è in grado di scendere al Campo 8, Bonatti e Mahdi non possono avanzare fino alla quota in cui si trova il Campo 9 a causa del buio, Lacedelli grida di lasciare le bombole in bella vista e andare via, senza aver capito che Bonatti e Mahdi non avevano alcun riparo per la notte né possibilità di rientro al Campo inferiore
31 luglio: Mahdi (semicongelato e in stato confusionale) e poi Bonatti scendono all’alba al Campo 8 e poi giù fino al Campo 7; più tardi, Compagnoni e Lacedelli scendono al loro bivacco e recuperano le bombole d’ossigeno con cui, alle 18:00 dello stesso giorno, arriveranno (in condizioni fisiche critiche) in cima al K2
3 agosto: la notizia del successo arriva finalmente in Italia, dopo un silenzio radio dovuto a un problema tecnico; l’intero Paese è in festa.
K2 – LA MONTAGNA
Il K2, abbreviazione di Karakorum 2, conosciuto anche come Monte Godwin-Austen, con i suoi 8611 metri di altezza s.l.m. è la seconda vetta più alta della Terra, dopo l’Everest. Il nome K2, che sta per “seconda cima del Karakoram”, le fu assegnato dal colonnello Thomas George Montgomerie, membro del gruppo guidato dal geografo inglese Henry Haversham Godwin-Austen, che effettuò i primi rilevamenti nel 1856. Il “2” nasce da un errore di misurazione dell’altezza della cima: come K1 venne inizialmente indicato il Masherbrum, che invece è considerevolmente più basso ma, per pura coincidenza, il numero “2” corrispondeva alla posizione della montagna, nella lista delle cime più alte del mondo: questo ne ha giustificato il suo mantenimento, anche in seguito.
La montagna è posta nel Karakorum, al confine tra Cina e Pakistan, non lontano dagli altri Ottomila della sub-catena del Massiccio del Gasherbrum e altri Settemila. Si presenta di forma piramidale fino alla base, più accentuata rispetto all’Everest, con quattro pareti, due sul versante nord cinese e due sul versante sud pakiistano. Sul versante sud-est è presente lo Sperone degli Abruzzi. Dalle sue pendici nascono lingue glaciali, che confluiscono nel Ghiacciaio Baltoro.
Nel 1987 Ardito Desio, sollecitato da una notizia curiosa – l’anno prima, lo statunitense George Wallenstein aveva rimisurato l’elevazione del K2 con una nuova tecnologia satellitare che stava sviluppandosi in quegli anni, e le elaborazioni dell’Università di Washington fornivano una quota presumibilmente compresa tra 29.064 ft (8.859 m) e 29.228 ft (8.909 m), superiore addirittura a quella dell’Everest – organizzò in breve tempo una spedizione in Asia, per verificare la quota di entrambe le montagne. Utilizzando la nuova tecnologia satellitare per le quote dei campi base, e la tecnologia ottico-elettronica tradizionale per i rilevamenti delle cime, le rilevazioni di Desio confermarono che l’Everest conservava il primato. Restava la necessità di verificare le quote effettive delle due montagne. Nel sessantesimo anniversario della prima ascensione, Remhat Ullah Baig, uno dei migliori scalatori di sempre, ha portato con sé un avanzato sistema GPS Leica, che ha registrato i dati della montagna come mai prima di allora: questo ha misurato con precisione l’altezza di 8.609,02 m.
Secondo Reinhold Messner, “nel Karakorum il K2 è, per altezza, solo la seconda vetta del mondo, ma tenendo conto di altezza, pericolosità e difficoltà tecniche, è considerato l’Ottomila più impegnativo”. Questo, perché “il K2 è molto più ripido dell’Everest… sull’Everest c’è l’Icefall all’inizio, e questo tratto è molto più difficile di tutti i passaggi del K2, però è all’inizio…Non sei in alta quota, hai tempo di mettere le scale, le corde. Sul K2 sono cento passaggi, da 6000 metri fino in cima”.
Per la sua difficoltà alpinistica e per l’alta mortalità (il rapporto fra vittime totali e alpinisti che hanno raggiunto la vetta è di 1 a 4) è conosciuto anche come la Montagna Selvaggia. Fra gli Ottomila ha il terzo più alto tasso di mortalità di scalata, dopo l’Annapurna I e il Nanga Parbat. Messner lo indica come l’Ottomila più difficile da scalare e la sua opinione è condivisa anche da altre fonti: ciò deriva da diversi fattori, quali l’estrema ripidezza di tutti i suoi versanti, la presenza costante di tratti di arrampicata, passaggi alpinistici molto impegnativi e pericolosi, e l’assenza quasi totale di posti adatti a un campo. Inoltre, il K2 detiene un altro primato, che ne testimonia ancora una volta la difficoltà: è stato, nel gennaio 2021, l’ultimo Ottomila a essere scalato in inverno. A titolo di paragone, ben quarantuno anni dopo l’Everest e cinque dopo il Nanga Parbat, sempre nella stessa stagione.
Il K2, inoltre, è situato in luoghi remoti: il campo base, infatti, è ad ottanta chilometri di distanza a piedi dalla più vicina località raggiungibile con mezzi motorizzati, Askole, sessanta dei quali sono da percorrere sul Ghiacciaio Baltoro. Per una spedizione in stile himalayano è già un’enorme difficoltà arrivare a trasportare e montare il campo base, tanto che numerose sciagure si contano già durante questa fase.
La latitudine del K2 è di 8° più a nord dell’Everest, il che, se da una parte affievolisce l’impeto del monsone, dall’altro rende il clima più rigido e più difficilmente prevedibile: la montagna, infatti, è spesso soggetta a bufere violentissime che possono protrarsi per diversi giorni,e in certi anni hanno impedito di raggiungere la vetta per l’intera stagione alpinistica.
La difficoltà del K2 è testimoniata dall’elevata percentuale di insuccessi sul numero totale di tentativi, incluse numerose tragedie. La seconda ascensione della vetta è avvenuta ventitré anni dopo la prima, cioè nel 1977. Fino al 2007, solamente 278 persone (di cui 35 italiane) hanno raggiunto la cima, contro le oltre 3.000 che hanno raggiunto quella dell’Everest. Ben 66 persone vi hanno perso la vita (spesso nella fase di discesa), delle quali 16 nel solo 1986.
SCALARE IL K2
Le diverse vie di ascensione al K2 sono accomunate dalla pendenza notevole, dalla forte esposizione e dalla presenza di numerosi passaggi alpinistici difficili. Ancora molto resta da scoprire: i percorsi di salita attuali sono piuttosto tortuosi, la Parete Est è ancora inviolata. Il versante cinese è molto meno esplorato e frequentato, perché le autorità cinesi impediscono l’utilizzo di portatori locali, quali gli sherpa nepalesi, ed esistono solo due percorsi esplorati: Cresta Nord e Parete Nordovest
Le vie principali, sul versante pakistano della montagna sono:
A = Cresta Ovest;
B = Parete Ovest;
C = Pilastro Sudovest;
D = Parete Sud;
E = Sperone Sud-Sudest;
F = Sperone Abruzzi.
L’avvicinamento dal versante pakistano comporta diverse tappe e richiede, a volte, oltre due settimane di percorrenza. Il trekking di avvicinamento parte normalmente da Rawalpindi o da Islamabad, da dove ci si trasferisce in aereo a Skardu, nel nord del Pakistan. Poi ci si reca, normalmente con fuoristrada, al villaggio di Askole, da dove si prosegue a piedi. Durante la marcia di avvicinamento si incontrano diversi paeselli e campi attrezzati, tra cui Korophone, Jhula, Bardumal, Paiju, Khuburse, Urdukas e Goro. Il K2, però, non si mostra fino a che non si giunge al Circo Concordia, punto d’unione dei ghiacciai Baltoro, Abruzzi e Godwin-Austen (4.720 m), da dove appare all’improvviso, come un enorme cono che si staglia nel cielo e sovrasta le vette circostanti. Da qui, un’ultima tappa di circa quattro ore porta al Campo Base, a circa 5000 metri di quota.
La salita lungo lo Sperone degli Abruzzi è la via usata più di ogni altra, e deve il suo nome a Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, Duca degli Abruzzi, che la aprì nel 1909. Segue la Cresta Sud-Est e comincia a 5400 metri, luogo dove si può installare un Campo Base avanzato, sopra al Ghiacciaio Godwin-Austen. Dopo una serie di difficoltà iniziali, si presentano le due famose e difficili arrampicate del Camino (House Chimney) e della Piramide Nera. Sopra la Piramide Nera, pendii ripidi e pericolosamente esposti conducono alla Spalla. L’ultimo grande ostacolo per la vetta è quindi il passaggio del Collo di Bottiglia, pericolosamente vicino a un muro di seracchi nella parte sommitale Est. Dalla prima salita di Compagnoni e Lacedelli, 285 uomini e 11 donne hanno raggiunto la cima della montagna, all’anno 2015. Di questi, 31 sono morti nella discesa, ovvero il 10,5%.
Particolare, il rapporto tra il K2 e le donne: tutte le prime cinque alpiniste che ne hanno raggiunto la vetta hanno perso la vita. Tre di loro sono morte durante la discesa, mentre le altre due sono morte successivamente, in altre scalate. Solo la basca Edurne Pasaban, che ha raggiunto la vetta il 26 luglio 2004, l’italiana Nives Meroi (in vetta il 26 luglio 2006), la giapponese Yuka Komatsu (in vetta il 1º agosto 2006 con l’impiego di ossigeno) e la norvegese Cecilie Skog, in vetta il 1º agosto 2008 insieme con il marito Rolf Bae (che però si fermò a 100 metri dalla cima e in seguito perse la vita durante la discesa, travolto da una valanga), non hanno perso la vita in incidenti alpinistici. Dopo tre anni di spedizioni fallite, il 23 agosto 2011, quella guidata da Gerlinde Kaltenbrunner ha raggiunto la vetta salendo dal versante cinese.
Dal 1902 si sono succeduti cinque tentativi di scalata del K2. Il primo, nel 1902, fu compiuto da una spedizione guidata da Aleister Crowley e Oscar Eckenstein, che raggiunse una quota di circa 6.600 m, ma fu costretta a ritirarsi per il maltempo. Nel 1909 la spedizione italiana guidata da Luigi Amedeo di Savoia, e accompagnata dal fotografo Vittorio Sella, aprì la via di salita lungo lo sperone Est della montagna, nota ancor oggi come Sperone degli Abruzzi.
Negli anni Trenta, due le spedizioni statunitensi: quella del 1938 raggiunse la quota di 7800 metri, ma fu costretta a ritirarsi per la mancanza di fiammiferi per accendere le stufe; quella del 1939, organizzata da Fritz Wiessner, raggiunse la quota di 8200 metri e si concluse con la morte del milionario Dudley Wolfe, prima vittima accertata del K2, bloccato da una tempesta a 7500 metri. I suoi resti, portati a valle da una valanga, furono ritrovati solo nel 2002. Un’ulteriore spedizione statunitense ebbe luogo nel 1953, ma anche questa si concluse in tragedia. La squadra stava cercando di far scendere a valle il compagno Art Gilkey, colpito da tromboflebite e da un probabile edema polmonare: mentre i compagni stavano cercando un posto dove fare una sosta, Gilkey, bloccato su una barella, fu spazzato via da una valanga.
La seconda ascensione del K2 fu effettuata solo ventitré anni dopo, per la stessa via di salita della spedizione italiana. L’8 agosto 1977, una spedizione mista giapponese-pakistana riuscì a giungere in vetta, per la via normale dello Sperone Abruzzi.
La terza ascensione, nel 1978, a opera di una spedizione statunitense, fu la prima comprovata senza ossigeno. Louis Reichardt raggiunse la vetta il 6 settembre; partito dall’ultimo campo con le bombole di ossigeno, se ne liberò durante il percorso, a causa di un malfunzionamento, giungendo in vetta senza. Il giorno seguente, il compagno John Roskelley raggiunse a sua volta la vetta, ma partendo senza bombole già direttamente dall’ultimo campo.
La prima donna che raggiunse la vetta del K2, il 23 giugno 1986, fu la polacca Wanda Rutkiewicz: precedette di mezz’ora la francese Liliane Barrard, che morì durante la discesa. Entrambe erano salite senza ossigeno.
Il 1986 fu, per il K2, un anno particolarmente duro: a fronte di 27 tentativi di salita, vi furono 13 morti, di cui cinque tra il 6 e il 10 agosto. Tra i morti di quell’anno, Renato Casarotto e l’alpinista britannica Julie Tullis che, con Kurt Diemberger, formava un noto team di documentaristi d’alta quota: il “film-team più alto del mondo”.
Nel 2002, una spedizione polacca guidata da Krzysztof Wielicki e comprendente alpinisti di altre nazionalità tentò di effettuare la prima ascensione invernale, accedendo dal versante cinese. La spedizione fu bersagliata dal maltempo, ma il 13 febbraio 2003 il polacco Piotr Morawski ed il kazako Denis Urubko riuscirono a stabilire il Campo Quattro ad una quota di 7.630 m, la massima quota mai raggiunta sul K2 in inverno fino a quel momento. Il maltempo obbligò gli alpinisti a ritirarsi il 15 febbraio. Una nuova squadra tornò al Campo il 26 febbraio, ma lo trovò distrutto dal vento. La spedizione dovette ritirarsi il 28 febbraio senza riuscire a raggiungere la vetta, ma stabilendo comunque il record della massima altezza raggiunta in inverno sul K2, che resistette fino al 2021.
Nel luglio 2004, la nutrita spedizione celebrativa K2 1954-2004 (undici alpinisti guidati da Agostino Da Polenza, alla sua quinta esperienza da capospedizione sul K2) tentò, portandola a termine, la scalata del K2 per festeggiare i 50 anni dall’impresa di Compagnoni e Lacedelli. Il 26 luglio, a tre anni di distanza da che l’ultimo alpinista aveva raggiunto la vetta, Silvio Mondinelli, Karl Unterkircher, Walter Nones, Ugo Giacomelli e Michele Compagnoni salirono in vetta al K2, senza l’uso di ossigeno supplementare. Ci furono anche cinque vittime: portatori di altre valli, che non conoscevano il territorio, annegarono azzardando la traversata di un fiume in piena per evitare un’ora di percorso.
In quell’occasione furono continuate le ricerche di carattere geologico, geofisico e naturalistico che Ardito Desio aveva avviato nel 1929 e furono gettate le basi per la realizzazione del Parco del Karakorum Centrale, un’area di protezione ambientale della regione e di sviluppo socioeconomico per le popolazioni di quelle vallate. E furono avviati i corsi che portarono alla formazione del primo nucleo di soccorso alpino nel Karakorum.
Il 20 luglio 2007, la spedizione italiana K2 Mountain Freedom 2007 raggiunse la vetta attraverso lo Sperone Abruzzi, senza l’ausilio dell’ossigeno, con tre alpinisti: Daniele Nardi, capospedizione, Mario Vielmo e Stefano Zavka. Michele Fait, il quarto uomo della spedizione, si fermò prima dalla vetta. Vielmo e Zavka raggiunsero la cima della montagna molto tardi, attorno alle 18.30, circa due ore e mezzo dopo, il loro compagno, e quindi altri scalatori russi, coreani, canadesi e americani, impegnati sul K2 negli stessi giorni.
Le previsioni meteorologiche concordavano nel prevedere un peggioramento delle condizioni del tempo per la serata dello stesso giorno. Vielmo e Zavka, soli, cominciarono la discesa dalla vetta verso il Campo Quattro (a circa 7.900 m) alle 19.00, ma le condizioni del tempo diventarono pessime: il vento fortissimo alzò una fitta neve che, assieme alla notte e alla stanchezza accumulata durante la scalata del pomeriggio (durata più di 14 ore), rese problematiche le operazioni di discesa. Zavka, che non aveva con sé la radio e che durante la discesa aveva ceduto il passo a Vielmo, lamentava un congelamento di mani e piedi, si perse nella tempesta e non fece più ritorno.
Anche Vielmo si perse nella notte, ma alla fine riuscì a raggiungere le tende dei compagni, con i quali comunicava via radio grazie alle luci frontali, che questi avevano usato come segnalazione. Nel corso della discesa un componente della spedizione americana scivolò e si ruppe una gamba; due componenti della spedizione coreana si persero nella tormenta. Sia l’americano che i coreani riuscirono comunque a ritornare al Campo Base.
Il 2 ottobre 2007, i kazaki Denis Urubko e Serguey Samoilov raggiunsero la vetta per la via cinese, sulla Cresta Nord, non ripetuta da 11 anni. Avevano tentato una nuova via sulla Nord, ma avevano dovuto rinunciare per il maltempo e le cattive condizioni della parete.
A causa del maltempo, i tentativi di salita al K2 nel 2008 si concentrarono tutti a inizio agosto. Il 1º agosto, una trentina di alpinisti di diverse spedizioni partirono dal Campo Quattro per raggiungere la vetta. L’affollamento e i conseguenti ritardi, alcuni incidenti e il crollo di un seracco che travolse le corde fisse di appoggio generarono una situazione di estrema difficoltà, in seguito alla quale ben undici alpinisti persero la vita. Tra gli alpinisti superstiti, l’italiano Marco Confortola, che riportò seri congelamenti e l’amputazione di tutte le dita dei piedi raggiungendo la cima il 1º agosto 2008.
In totale, nel 2008 sono stati 18 gli scalatori (16 uomini e due donne), che hanno raggiunto la vetta del K2, tutti il 1º agosto.
Nel 2009, le spedizioni impegnate sul K2 furono almeno sei: una americana, una cinese, una giapponese, una kazaka, una commerciale, organizzata dall’australiana Field Touring Alpine, e una composta dallo svedese Fredrik Ericsson e dall’italiano Michele Fait, che aveva in programma la discesa della montagna dalla cima con gli sci, lungo la Via Cesen. Il 23 giugno 2009, durante le scalate preparatorie a quest’ultima impresa, Michele Fait, che aveva già tentato la scalata del K2 nel 2007 rinunciandovi sul Collo di bottiglia, perse la vita scivolando lungo la discesa.
Nella stagione estiva 2009, nessun alpinista riuscì comunque a raggiungere la cima della montagna. Lo spagnolo Jorge Egocheaga, di cui era stata annunciata la conquista della vetta il 19 luglio, ha affermato di essere arrivato a soli dodici metri da essa, senza tuttavia mostrare prove delle sue affermazioni. I due assalti permessi dalle finestre di bel tempo (una il 26 luglio e una il 4 agosto) permisero ad alcuni scalatori di raggiungere solamente quota 8.400 metri, poco al di là del Traverso. Tra le cause principali del fallimento, che ebbe tra i protagonisti anche l’alpinista austriaca Gerlinde Kaltenbrunner, alla caccia del suo tredicesimo Ottomila, vi fu l’eccessiva quantità di neve nella zona alta della montagna. Nel giorno del secondo tentativo, il 4 agosto, l’alpinista americano Dave Watson scese sciando lungo il Collo di bottiglia, primo uomo nella storia.
La prima ascensione in periodo invernale è del 16 gennaio 2021, per opera di un gruppo di dieci alpinisti, tutti nepalesi: guidati dal carismatico Nirmal Purja. Con lui Mingma Gyalje, Kili Pemba, Dawa Tenjin, Mingma David, Mingma Tenzi, Gelje, Pem Chiiri, Dawa Temba e Sona. Lo stesso giorno perde la vita l’alpinista spagnolo Serge Mingote, scendendo dal Campo Uno al Campo Base avanzato. Il 5 febbraio, l’alpinista bulgaro Atanas Skatov perde la vita precipitando, durante una discesa verso Campo Tre. Lo stesso giorno risultano dispersi, tre scalatori impegnati nell’attacco alla vetta: l’islandese John Snorri, il pakistano Ali Sadpara e il cileno Juan Pablo Mohr. Il K2 è stato l’ultimo Ottomila ad essere stato scalato anche in inverno, a distanza di quarantuno anni dalla prima ascensione invernale di un Ottomila, l’Everest: il 17 febbraio 1980.
IL CASO K2
Il 31 luglio 1954, una spedizione italiana guidata dal geologo Ardito Desio raggiunge la vetta. Da quel momento il K2 diventa “La montagna degli italiani”. La cima fu effettivamente raggiunta da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli, e determinante fu il contributo di Walter Bonatti e Amir Mahdi: l’impresa, comunque, resta negli annali come un successo dell’intero gruppo.
Alla vigilia dell’attacco finale Bonatti e Mahdi – che portavano le bombole d’ossigeno al Nono Campo, dove erano attesi da Compagnoni e Lacedelli, designati per conquistare la cima – non riuscirono a raggiungere la tenda, che Compagnoni e Lacedelli posero circa 250 metri più in alto di quanto concordato la sera prima, per facilitare, a loro dire, la salita in vetta del giorno dopo. Al sopraggiungere dell’oscurità, Bonatti e Mahdi si trovarono così impossibilitati sia a salire che a scendere. Non ricevendo assistenza dalla tenda di Compagnoni e Lacedelli – che pure erano a portata di voce – i due bivaccarono in condizioni climatiche estreme, su un gradino di ghiaccio, in mezzo a un ripido canalone, che il vento notturno riempiva di neve, senza tenda e senza sacchi a pelo: sopravvissero solo grazie all’eccezionale robustezza fisica. Mahdi riportò l’amputazione di tutte le dita dei piedi, per i gravi congelamenti.
L’episodio è all’origine di una lunga serie di polemiche, calunnie, accuse, anche nei tribunali, che coinvolsero i protagonisti della vicenda e si trascinarono per 54 anni, dando origine al cosiddetto Caso K2. Già prima della partenza, la spedizione aveva suscitato critiche per l’esclusione, voluta da Ardito Desio, di alpinisti del calibro di Riccardo Cassin, Cesare Maestri, Gigi Panei e Toni Gobbi.
Secondo la relazione pubblicata all’epoca da Desio, la mattina successiva al trasporto delle bombole da parte di Bonatti e Mahdi, Compagnoni e Lacedelli sarebbero scesi a prendere le bombole (che garantivano una pressurizzazione pari a 6.000 metri, anche alla quota di circa 8.100 metri), là dove Bonatti e Mahdi le avevano lasciate (a poca distanza dal Nono Campo), e con queste avrebbero fatto la salita finale. Secondo il loro racconto, tuttavia, l’ossigeno si sarebbe esaurito a quota 8400, due ore prima della vetta, che quindi i due alpinisti avrebbero raggiunto senza ossigeno, portando comunque con sé bombole e altro materiale (del peso complessivo di 19 kg, per ogni alpinista), per lasciare in vetta un segno della loro conquista. Al ritorno, entrambi sarebbero stati in condizioni psicofisiche difficili e Compagnoni, che in un primo tempo asserì di aver ceduto in vetta i suoi guanti a Lacedelli, che li avrebbe persi nel vento mentre scattava le foto – versione poi modificata – riportò gravi congelamenti alle mani, per i quali fu necessaria l’amputazione di due dita. La versione secondo cui l’ossigeno sarebbe terminato prima di raggiungere la vetta – per eroicizzare oltremisura l’impresa – è stata poi ufficialmente smentita dal CAI, a seguito delle risultanze della commissione dei tre saggi, che ha pubblicato la relazione nel 2008.
Secondo la versione rivista, l’ossigeno sarebbe stato utilizzato fino alla cima. La prova è costituita da due foto scattate in vetta dagli stessi alpinisti: in una si vede Compagnoni ancora con la maschera di ossigeno (che non avrebbe avuto senso indossare se non funzionante); nell’altra Lacedelli mostra tracce visibili di brina intorno alla bocca, come se si fosse appena tolto, appunto, il respiratore. Compagnoni e Lacedelli avrebbero quindi respirato l’ossigeno delle bombole per almeno 9 ore e 45 minuti: ciò fa pensare che le bombole avessero piena carica. I due avrebbero cominciato l’ascesa finale non prima delle 8.30, partendo dal luogo del bivacco forzato di Bonatti e Mahdi, e qui avrebbero recuperato le bombole lasciate in bella vista da Bonatti, del quale pertanto risulta completamente avvalorata la versione.
C’è però da osservare che, in realtà, le apparecchiature erano a circuito aperto (l’ossigeno delle bombole era utilizzato per arricchire il tenore totale di ossigeno dell’aria atmosferica inspirata) e quindi era possibile continuare a respirare pur con le maschere indossate, anche nel caso in cui le bombole fossero esaurite. Alcuni componenti della spedizione, in seguito, confermarono il fatto che talvolta le maschere, pur non collegate alle bombole di ossigeno, venivano indossate al solo scopo di rendere l’aria inspirata meno fredda e secca. Appare contraddittorio che sul volto di Compagnoni, fotografato in vetta prima con la maschera e poi senza, non appaiano tracce di brina.