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La nuova Tim: ?ora si può crescere

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Quella di oggi è una nuova Tim, con obiettivi aggiornati per mantenere il suo ruolo di leadership sul mercato italiano, pronta a cogliere i vantaggi legati al consolidamento in corso nel mercato Telco. I punti di forza sono il portafoglio eterogeneo, il business con differenti prospettive di crescita sia nel segmento consumer sia in quello enterprise e la leadership anche verso la Pubblica amministrazione grazie al Polo strategico nazionale. E poi c’è Tim Brasil, un’azienda al top nelle Tlc in un mercato maturo e ad alto tasso di crescita. Ma soprattutto, adesso che il gruppo italiano ha ridotto in modo significativo il debito rispettando tutti gli obiettivi del piano industriale, si rimette in moto il meccanismo che apre gli spazi di manovra e possibilità di crescita.

La ripartenza è frutto di un lavoro che parte da lontano. Infatti, il gruppo guidato da Pietro Labriola ha ceduto lo scorso primo di luglio, dopo due anni e mezzi di lavoro, la sua infrastruttura di rete fissa primaria e secondaria (la rete in fibra e quella in rame che arriva alle case) e le attività wholesale (la vendita all’ingrosso agli altri operatori) a Optics BidCo, società controllata del fondo statunitense KKR e partecipata dai fondi Adia di Abu Dhabi, Cpp Investments canadese e dal nostro ministero del Tesoro oltre al fondo F2i, al cui interno sono presenti tra gli altri anche il gruppo Cdp (la Cassa Depositi e Prestiti), varie casse previdenziali e fondazioni bancarie.

Con la vendita dell’infrastruttura di rete fissa e del business all’ingrosso Tim ha incassato 18,8 miliardi di euro, che potenzialmente potrebbero salire a 22 miliardi e che le hanno già permesso di tagliare l’indebitamento, in linea con le previsioni fornite dal mercato. Il debito di Tim è sceso così da 21,5 a 8,1 miliardi, con l’obiettivo per la fine dell’anno di farlo scendere ancora a 7,5 miliardi. Tra le conseguenze positive dell’operazione, le tre agenzie di rating Moody’s, S&P e Fitch hanno rivisto al rialzo il giudizio su Tim.

Il vantaggio sui conti però è solo una parte delle ragioni che hanno spinto Tim all’operazione. Dietro c’è stato un lavoro di riallineamento della gestione ordinaria di Tim e soprattutto l’azione per individuare le soluzioni industriali e finanziarie adatte ad andare sul mercato con maggiore efficienza. Labriola ha sottolineato che Tim «resta la telco di riferimento in Italia, rimanendo l’operatore più infrastrutturato e offrendo servizi innovativi, sia sul fisso che sul mobile, a servizio di famiglie, Pubblica Amministrazione e imprese».

Soprattutto, ha detto Labriola, ridurre il debito «da oltre 20 miliardi a un target di 7,5 miliardi a fine 2024 significa avere la capacità di investire per la crescita». E ha aggiunto: «Oggi non dobbiamo più andare sul mercato a rifinanziarci ma possiamo concentrarci a lavorare per migliorare i risultati della nostra azienda e la nostra leadership».

Come cambia la strategia di Tim: i punti centrali sono tre. Il primo è relativo al settore “consumer”, destinato a famiglie e piccole imprese. Finita la riorganizzazione, verranno riformulate le offerte grazie anche alla nuova posizione del gruppo, che non è più legata alla precedente integrazione verticale e ai limiti normativi e commerciali che ne conseguivano. L’azienda potrà ad esempio offrire pacchetti di servizi per la fidelizzazione dei clienti anche allargandola a settori diversi dalle telecomunicazioni, a partire da quelli legati a TimVision, la piattaforma streaming del gruppo.

C’è poi il segmento “enterprise”, in cui l’azienda vuole crescere più del mercato: il 6% su base annua contro il 4-5%. Questo anche grazie al proseguimento della migrazione nel cloud della clientela (Tim è anche primo azionista del Polo Strategico nazionale, il cloud dove migrerà la Pubblica Amministrazione), ai servizi di cybersecurity e ai servizi di Internet of Things, l’internet delle cose, fondamentali per il settore industriale e soprattutto manifatturiero, nel quale l’Italia è il secondo Paese in Europa. Tra gli altri punti di forza del gruppo Tim ci sono la rete di datacenter più estesa d’Italia e le fabbriche interne: Noovle, Olivetti e Telsy.

Infine, il mercato brasiliano. In quel Paese è terminata la fase del consolidamento, con gli operatori che sono passati da cinque a tre. Adesso è iniziata una fase positiva del mercato, una opportunità che non è sfuggita al gruppo italiano. Tim Brasil infatti è cresciuta, ha raggiunto una capitalizzazione di circa 7 miliardi di euro e nel primo semestre del 2024 ha registrato ricavi pari a 2,3 miliardi di euro (+7,8% anno su anno), ricavi da servizi pari a 2,2 miliardi di euro (+7,6% anno su anno) ed un EBITDA pari a 1,1 miliardi di euro (+9,9% anno su anno), continuando nel percorso di crescita intrapreso nell’ultimo biennio grazie soprattutto alla spinta del segmento mobile.

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