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La storia definitiva di una stagione da Tricampioni d’Italia – Pallacanestro Olimpia Milano

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“Calma, calma. Un momento”. Il Capitano Nicolò Melli ha appena ricevuto la Coppa dello scudetto numero 31 e tutti si aspettano che, come un anno fa da solo e due anni prima con Sergio Rodriguez, la alzi al cielo. Invece Melli si ferma, stoppa tutti e con la mano richiama l’attenzione di una leggenda, dell’americano più vincente nella storia del basket europeo. Richiama l’attenzione di Kyle Hines in persona.

Per lui è il titolo nazionale numero 11 nelle ultime 13 stagioni concluse regolarmente. Ha perso due titoli ma non si è mai fermato prima di una finale. È successo una volta in Grecia e una a Milano. Melli è il Capitano ma vuole che sia Hines ad alzare la Coppa. È un segno di rispetto. Un gesto supremo. Un momento, un fotogramma che passerà alla storia. “Con Rodriguez e Datome, Hines ha cambiato la storia di questo club, il modo in cui veniva visto all’esterno”, ha spiegato Melli. Ha cambiato la cultura. Rodriguez indica in Gara 6 della finale del 2022 il momento più appagante della sua storia milanese. Gigi Datome nel 2023 in Gara 7 ha vinto uno scudetto da MVP nell’ultima partita della carriera. Questa è la cultura Olimpia, questo è quanto l’Olimpia intende rappresentare attraverso la propria pallacanestro.

Kyle Hines con la Coppa del suo terzo scudetto

A inizio stagione Kyle Hines aveva parlato con Coach Ettore Messina e sapeva, era una scelta condivisa, che il suo ruolo a 38 anni di età sarebbe stato diverso. Addirittura, non avrebbe dovuto giocare in campionato almeno fino a quando l’EuroLeague avesse avuto senso. Infatti, Hines ha debuttato a Varese il 17 di dicembre, dodicesima giornata di campionato. Quando programmi una stagione, hai un piano, ma non sempre tutto funziona come avresti voluto. Esiste un universo parallelo, forse, in cui la presenza di Kyle Hines non è necessaria per vincere lo scudetto numero 31. Ma è un universo parallelo, non è quello in cui viviamo noi. Hines ha chiuso i playoff con 23/32 dal campo e in quattro anni ha il 66.5% nel tiro da due nei playoff, secondo di sempre: meglio di lui ha fatto solo Rasho Nesterovic, dietro di lui c’è Joseph Blair. È surreale che un giocatore così poco spiegabile attraverso i numeri trovi quasi sempre la sua rivincita nei numeri stessi. Il più incredibile è questo: quando arrivò a Milano nel 2020 a 34 anni era considerato un giocatore a fine carriera. Nelle quattro successive edizioni di EuroLeague ha giocato tutte le partite dell’Olimpia senza saltarne una ad eccezione dell’ultimo turno della stagione regolare del 2021. Era una partita senza significato e venne risparmiato. Ma avrebbe giocato anche quella. Ha giocato a dispetto di tutto, stanchezza, istinto di sopravvivenza e infortuni minori o seri, con una mano gonfia e l’influenza. Quando era un neonato aveva un problema alle gambe e i medici pensavano non avrebbe mai camminato bene. “Mio figlio è un miracolo”, dice la mamma, orgogliosa non solo della carriera leggendaria che ha costruito ma di come l’ha costruita e di come è passato attraverso i successi, la ricchezza, senza perdere il proprio io, persona educata, sensibile, padre e marito perfetto. Ogni anno a Natale si traveste idealmente da Santa Claus e porta doni a tutti. Dirigenti, allenatori, compagni, chiunque durante l’anno abbia avuto la fortuna – questo è: fortuna – di incrociarlo. Sono gesti riservati, privati, lui per primo non vorrebbe esternarli ma per una volta è anche giusto renderli pubblici.

The Block: esegue Nicolò Melli. Sotto l’altro “The Block”: Andrew Goudelock 2018

La storia dell’Olimpia è lastricata di giocatori che hanno sacrificato tutto nell’interesse supremo della squadra. Se non fosse stato così l’Olimpia non avrebbe vinto 31 titoli in 88 anni, più di uno ogni tre. Pensando alla grande dinastia degli anni ‘80 fino ad arrivare a questa si può dire che Dino Meneghin stava a quella Olimpia come Kyle Hines a questa. Ma nel passaggio della Coppa dello scudetto tra Nicolò Melli e Kyle Hines sono “transitati” 18 titoli nazionali. Nik ne ha vinti sette nelle ultime nove stagioni europee disputate, quattro a Milano. Non è mai stato l’MVP ma avrebbe potuto esserlo ogni volta. C’è sempre stato qualcosa o qualcuno a togliergli una soddisfazione che comunque non gli crea ansie. Melli è un facilitatore. Il giocatore che mette tutti gli altri nelle condizioni migliori per esprimersi. È un centro moderno o un’ala grande difensivamente punitiva. Anche in lui si rivede tanto Meneghin.

Nelle prime due partite della finale, Tornike Shengelia, la star georgiana della Virtus, aveva segnato 37 punti complessivi con 16 rimbalzi. Dopo Gara 2, Melli ha chiesto a Coach Messina di marcare Shengelia fin dalla palla a due. “Non ho mai avuto la presunzione di pensare che l’avrei fermato, perché Toko è un grande campione e ti fa lavorare tantissimo. Ma ho pensato che, se l’avessi sottratto alla marcatura di Mirotic, poi Nikola avrebbe avuto più energie nella metà campo in cui rende al meglio. Ammetto, sottovoce, che ha funzionato”, ha raccontato Melli. Shengelia è passato da 37 punti a 15 nelle ultime due partite della serie. Mirotic è passato da 20 a 51 punti. Sarebbe semplicistico ridurre tutto a questo, ma il ribaltamento dei ruoli tra le due ali forti della finale è stato un elemento fondamentale nello spostare la serie dalla parte di Milano.

The Shot. La tripla di Shabazz Napier 2024 e sotto Curtis Jerrells 2014

La stoppata di John Gianelli, Dino Meneghin che dimentica i crampi per andare a difendere una Coppa dei Campioni, il tuffo di Bob McAdoo, Roberto Premier solo contro tutti a Livorno, la tripla di Curtis Jerrells, la stoppata di Andrew Goudelock, l’alley-oop di Delaney per LeDay, il muro di Kyle Hines su Wade Baldwin. La storia dell’Olimpia è questa, è tatuata di momenti indimenticabili che hanno contribuito a scriverne i trionfi. Grandi giocate in grandi momenti. Questa finale non è stata un’eccezione. Come nel 2022, l’Olimpia è entrata nella serie conscia di dover vincere a Bologna, il campo dove la Virtus aveva una striscia di 14 vittorie consecutive nei playoff. L’ultima sconfitta risaliva proprio a Gara 1 della finale del 2022. E anche questa volta l’Olimpia ha strappato il fattore campo subito al primo colpo. La vittoria è stata possibile grazie alla tripla con cui Shabazz Napier ha firmato la parità forzando il tempo supplementare. Uno stepback laterale che ha creato separazione, un pezzo di bravura. “Il gioco me lo aveva suggerito Quinn Snyder quando allenavamo insieme al CSKA. Non sempre succede, in questa occasione è riuscito alla perfezione”, chiosa Ettore Messina. Snyder adesso allena gli Atlanta Hawks della NBA. Ma dopo quella prodezza, l’Olimpia ha avuto bisogno di cinque minuti di grande basket per imporsi a Bologna. Incredibile ma vero, in due anni, aveva perso sei partite all’overtime, sei beffe, alcune davvero amare. Non questa volta: Shavon Shields nel supplementare ha dominato la scena. L’Olimpia a Bologna ha spezzato due strisce, quella vincente della Virtus e quella perdente dei tempi supplementari. Anche questo offre la misura delle difficoltà di questa finale.

Ma vincere una partita in trasferta non significa vincere lo scudetto. Il fattore campo è importante – e in questi momenti, il Forum diventa davvero il sesto uomo della squadra –, ma da solo non basta. L’Olimpia in Gara 1 dei quarti contro Trento aveva visto interrotta un’altra striscia, quella di vittorie casalinghe nei playoff, 15 di fila. Nella finale del 2023, Nik Melli dalla lunetta aveva timbrato in Gara 2 la vittoria più complicata delle quattro necessarie per battere Bologna. Quest’anno in Gara 3 è stata la sua stoppata su Iffe Lundberg (che tentava di pareggiare la partita) a chiudere i conti. Ecco un’altra singola prodezza, un’altra singola giocata risolutiva. The Block. Come Gianelli nel 1982, come Goudelock nel 2018, come Hines nel 2021. Tutti sanno di cosa si sta parlando. Melli stava marcando Shengelia. Saltando gli ha impedito di tirare, solo per scoprire che lo scarico del campione georgiano stava favorendo un tiratore migliore di lui: Lundberg. Melli è letteralmente rimbalzato sul pavimento ed è andato in cielo a spazzare via la palla. Spazzata via. Neanche un dubbio sulla regolarità del gesto. Una giocata strepitosa, un’altra fotografia da tramandare alla storia. Resta dunque il fatto che per vincere il terzo titolo consecutivo l’Olimpia ha dovuto vincere consecutivamente nove partite di finale sul proprio campo. Negli ultimi tre anni al Forum è 20-1 nei playoff. L’unica sconfitta è arrivata appunto con Trento nei quarti di finale.

“Dopo quella partita abbiamo giocato con una coesione differente, con umiltà, ci siamo aiutati ed è per questo che ad ogni gara abbiamo avuto protagonisti differenti. Nei giorni di Trento ho avuto la percezione che stessimo per giocare con un’altra solidità”, riflette Ettore Messina. Da non sottovalutare che l’Olimpia in quella Gara 1 aveva deciso di rilanciare Billy Baron per varare un assetto più perimetrale. Dopo un lungo stop per infortunio, Baron ha giocato bene Gara 1 ma alla fine è arrivato puntualmente un piccolo fastidio muscolare che ha riportato in campo Johannes Voigtmann. Il merito di Jo è stato quello di farsi trovare pronto, soprattutto di non farsi deprimere dalla scelta iniziale dello staff tecnico. Vale anche per Maodo Lo perché, dopo l’1-1 di Milano, a Trento l’Olimpia è andata senza Shavon Shields, costretto ai box. E anche Lo ha dovuto farsi trovare pronto. Sono dettagli. Ma con Voigtmann e Lo, l’Olimpia ha superato le prime difficoltà e poi ha trovato stabilità.  Ma la chiave è stata questa, è stata nei tanti protagonisti che si sono scambiati il testimone non solo in finale. Devon Hall nei playoff è stato una presenza stabilizzatrice, sui due lati del campo, in difesa – la specialità della casa – e anche in attacco con il suo contributo alla fluidità del gioco. Hall rappresenta sotto certi aspetti un esempio: è arrivato a Milano da Bamberg e con una reputazione tutta da costruire. In tre stagioni, è diventato un vincente, un giocatore multidimensionale. Pippo Ricci (quarto scudetto consecutivo, in questa saga Milano-Bologna lui è sempre stato dalla parte dei vincenti: adesso ha vinto 12 serie di playoff consecutive), sacrificato dall’assetto della squadra, non solo ha fatto tante piccole cose bene ma ha anche dominato Gara 3 a Brescia, quella che ha consentito all’Olimpia di arrivare al top, fresca, alla finale. Poi l’Olimpia ha vinto Gara 1 perché – a parte la prodezza di Napier – Shavon Shields ha giocato una partita pazzesca, con il suo 6 su 7 da tre, record di società per una finale.

Shavon Shields: 25 punti, 6/7 da tre in Gara 1 di finale

Shields ha giocato sei finali in Italia in sei stagioni. Ha perso le prime tre ma ha vinto le ultime tre. Per lui non è stata una stagione facile. È stata la stagione migliore come tiratore, necessario adeguamento contro difese terrorizzate dal suo uno contro uno, ma è stata una stagione in cui spesso ha camminato lungo la linea sottile della salute e dell’infortunio dietro l’angolo. La gestione dello staff (ecco il lavoro di squadra) gli ha permesso di arrivare in fondo e fregiarsi di un altro titolo. In Gara 4 stava soffrendo al tiro e si stava innervosendo. Nik Melli l’ha chiamato in panchina e gli ha sussurrato qualcosa. La risposta sono state due triple. “Gli sono grato, in certi momenti due parole dal Capitano, dal leader, aiutano”, ha ammesso.

“Non mi piace cercare scuse: contavo di vincere più di quello che abbiamo vinto, ma sono orgoglioso di come ci siamo coesi nella parte finale della stagione, di aver vinto il titolo”, ha ammesso Nikola Mirotic. L’inserimento di Mirotic all’interno del gruppo è stato oggetto di tante speculazioni durante l’anno. “Non ci sono stati problemi di chimica, perché qui ci sono solo brave persone: abbiamo avuto qualche infortunio nel momento sbagliato che ha colpito giocatori chiave e il processo di amalgama è durato più del previsto”, dice Shields. “Io e Nik Melli – dice Mirotic senza giri di parole – ci conosciamo da anni, ci rispettiamo da anni, da quando ci davamo battaglia nelle giovanili. Finalmente, ci siamo trovati sulla stessa sponda, ma qualche volta succede che le cose non vadano a posto immediatamente. Dovevamo imparare a giocare insieme, perché siamo diversi ma il ruolo è simile, e poi dovevamo imparare a giocare insieme ad altri giocatori. Ha richiesto tempo”. Mirotic e Melli giocarono contro una finale europea Under 20. Mai come in finale la chimica è sembrata al top. Melli in difesa su Shengelia, Mirotic contagiato difensivamente (sei stoppate in finale, due in Gara 4) a colpire in attacco con il suo gioco a tre dimensioni: post basso, tiro dalla media, tiro da tre. Mirotic ha segnato i liberi che in Gara 3 hanno tenuto a distanza Bologna, in Gara 4 ha dominato dall’inizio alla fine. Nel momento di “braccino corto” nel quarto periodo, ha centrato una tripla eccezionale che ha scacciato i fantasmi. Ha chiuso con 16 tiri liberi a segno, record eguagliato in finale, con 30 punti, il primo a segnare così tanto in finale da quando lo fece proprio Shields in Gara 5 del 2018 (31 con Trento, la partita della stoppata risolutiva di Goudelock), con 47 di valutazione. L’ultimo giocatore dell’Olimpia che in finale abbia fatto 47 di valutazione è stato Cedric Henderson nel 1986, in Gara 1. La coincidenza è struggente perché Henderson è morto proprio la scorsa estate e il suo ruolo nella storia dell’Olimpia è sempre stato sottovalutato. Aveva 20 anni quando giocò in Italia: troppo acerbo all’inizio, devastante alla fine. I suoi 47 punti di valutazione in finale gli restituiscono giustizia. I record servono anche a questo.

Nikola Mirotic stoppa Tornike Shengelia

Vincere tre scudetti consecutivi serve anche per creare un legame storico con la squadra degli anni ’80. Un anno fa l’Olimpia vinse il secondo scudetto consecutivo per la prima volta dal 1987, ma quello fu il terzo di fila. Adesso anche quell’impresa è stata eguagliata. Giannino Valli, Cesare Rubini, Dan Peterson ed Ettore Messina sono riusciti a vincere tre scudetti consecutivi sulla panchina dell’Olimpia (per la cronaca: Mario Fioretti è a quota sei come assistente, tutti all’Olimpia; Giustino Danesi a nove come preparatore atletico, sei all’Olimpia). “Tutti moltiplicano gli sforzi, nessuno vuole vederti vincere tre volte di fila”; ha sottolineato Messina che di scudetti adesso ne ha sette. Vincere tre volte contro la stessa squadra è ancora più difficile. Consci di quanto fosse complicato imporsi ancora, di quanto fosse necessario avere fame per superare gli ostacoli, l’Olimpia prima dei playoff aveva chiesto sostegno ai grandi del suo passato. In un video privato, che adesso viene divulgato in versione “short”, Dino Meneghin, Mike D’Antoni, Roberto Premier e Dan Peterson hanno offerto al gruppo il loro punto di vista, parlando della “voglia di dimostrare che eravamo ancora i migliori” (Meneghin), “dell’importanza di stare insieme, com’è successo a noi dopo le sconfitte, anziché disunirci ci siamo uniti di più, tutti dal proprietario in giù” (D’Antoni), “di giocare come se fossimo tutti parte della famiglia” (Premier), fino all’esaltazione di chi “giocava poco ma era sempre lì pronto ad andare in campo come Pittis nel 1987” (Peterson). Il video finisce con Bob McAdoo e il suo tuffo, la giocata più iconica nella storia del basket italiano. Quel tuffo con cui nel 1989 a 38 anni di età (ricorda Kyle Hines in qualche modo?), McAdoo ignorando una carriera di trionfi mise il suo corpo in pericolo per togliere due punti ad Alberto Tonut.

Il figlio di Alberto Tonut, Stefano, è stato un altro dei grandi protagonisti di questo scudetto. “Lo scorso anno in finale aveva giocato poco”, ricorda Messina per enfatizzare la crescita da un anno all’altro. Ma Alberto aveva detto al figlio che il secondo anno sarebbe stato migliore. È stato solido, è stato una presenza fin dall’inizio”, chiosa ancora Messina. “Ero conscio della difficoltà che avrei incontrato soprattutto il primo anno, ma ho avvertito la fiducia di tutti, un ruolo che mi è stato riconosciuto con i fatti. Sono contentissimo”, dice lui. Ha vinto quattro scudetti adesso. Quando è venuto a Milano era già un MVP del campionato e uno starter in Nazionale, ma ha avvertito come l’esigenza di dimostrare tutto un’altra volta. E ce ‘ha fatta. La sua difesa su Marco Belinelli, pericolo numero 1 in finale, è stata un capolavoro. In Gara 4 i suoi sette punti nel primo periodo hanno come si dice “dettato il tono” della gara.

Alberto Tonut era nella parte opposta della storia quando McAdoo eseguì il famoso tuffo: qui è con Stefano

Uno scudetto non si vince mai l’ultimo giorno. Lo scudetto si costruisce. Nel mese di gennaio, quello in cui forse Tonut era in difficoltà, l’Olimpia ha superato “la nottata” grazie ad una serie di eccellenti prestazioni di Giordano Bortolani: nell’anno in cui l’Olimpia ha raccolto grandi risultati dal settore giovanile, in cui sta seminando, Bortolani rappresenta un modello da emulare. Arrivò qui a 13 anni, oggi è un nazionale ed è Campione d’Italia. Quando vinse lo scudettino Under 14 in finale segnò zero punti. Per dire, quanto si possa crescere nel tempo. Il suo modo di festeggiare? Due giorni dopo era al Parco Sempione a giocare al campetto. Non sarebbe stato possibile vincere se Diego Flaccadori prima in inverno e poi nelle ultime due gare della finale non avesse mostrato tutta la sua proverbiale capacità di prendere iniziative, di essere propositivo e in certi momenti ha aiutato tantissimo Willie Caruso. Alex Poythress è andato a sprazzi ma ha deciso partite (ad esempio a inizio campionato ha risolto la gara di Tortona) sulle quali poi è stata costruita una stagione. E Denzel Valentine ha portato entusiasmo dentro e attorno alla squadra.

“Ci sono state difficoltà, abbiamo commesso un errore in un ruolo chiave sul quale non vorrei tornare – spiega Coach Messina – poi abbiamo avuto un problema con Billy Baron. Non voglio paragonarlo a Marco Belinelli, ma è un eccellente giocatore ed era il nostro Belinelli. Non lo abbiamo mai avuto, purtroppo, e per tanto tempo abbiamo pensato che prima o poi sarebbe tornato. Questo è stato anche peggio”. Baron era il tiratore designato della squadra, l’uomo deputato a risolvere problemi, ad allargare il campo. Purtroppo, non c’è mai stato. Questo dimostra come ogni stagione riservi sempre delle incertezze. Superarle è il segreto per vincere lo stesso. L’Olimpia l’ha fatto. 31 volte.

La squadra del three-peat

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